Proviamo a fare questa semplice ipotesi. Poniamo che da domani fra palestinesi e israeliani si instauri una pace vera, senza più alcun odio fra le parti. I palestinesi hanno il loro Stato che convive in assoluta armonia con quello di Israele. Fra le due entità statali, che sono territorialmente contigue, esiste una frontiera solo simbolica: ogni israeliano può andare a suo piacimento nello Stato palestinese, ogni palestinese può andare a sua volta nello Stato israeliano. Tutti sono liberi in tutto. Gli israeliani possono continuare a vivere in Israele ma, se lo vogliono, possono abitare nello Stato palestinese e seguire la lingua, la cultura, i costumi, le scuole di quello Stato. Ugualmente i palestinesi sono liberi di rimanere a casa propria, di seguire la loro cultura, le loro tradizioni, la loro lingua, la loro religione, la loro politica; ma possono, se lo desiderano, passare nello Stato d’Israele e vivere come vivono gli israeliani. Ripeto: tutti sono liberi in tutto senza condizionamenti di alcun genere e tipo.
A questo punto formuliamo la seguente domanda: dopo cinque, dieci, quindici anni saranno gli israeliani che copieranno i palestinesi o i palestinesi che copieranno gli israeliani? In modo più chiaro: nella massima, assoluta libertà sarà la cultura islamo-arabo-mussulmano-palestinese a mutuare quella occidentale o sarà la cultura occidentale a mutuare quella islamo-arabo-mussulmano-palestinese? In conclusione, quale sarà il modello politico-culturale che risulterà vincente? Porre questo quesito significa già risolverlo: tutti sappiamo che la stragrande maggioranza dei palestinesi finirebbe per assumere lo stile, la cultura -e dunque anche il modo di vedere il mondo- israeliani.
Se questo è vero, allora si deve concludere che, a competizione libera e pacifica, il modello occidentale -ovvero, più propriamente, il modello socioeconomico capitalistico- è destinato a imporsi inevitabilmente e irreversibilmente, che piaccia o no. Del tutto utopica, nel senso banale di una sua impossibilità pratica, è l’idea che le due civiltà o, se vogliamo, i due tipi di società, siano destinati eternamente a convivere, mantenendo le proprie caratteristiche strutturali di fondo, dato che la contiguità e il confronto comportano necessariamente la supremazia di uno dei due; una supremazia che non si può certo misurare con le spanne di qualche decennio, ma che si attuerà comunque, dato che lo sviluppo storico -ogni sviluppo storico- impone di per sé la scelta, la selezione e, dunque, l’inevitabile valorizzazione.
Dal punto di vista economico-sociale il mondo islamico può soltanto subire l’iniziativa capitalista. Esso non ha un suo specifico sistema di produzione e di distribuzione della ricchezza, né di organizzazione tecnica delle risorse, vale a dire un sistema che sia congruo -in termini di rapporto razionale tra mezzi e scopi- al proprio finalismo religioso. L’Islam è radicalmente opposto all’Occidente solo in termini religiosi e politici. È evidente infatti che, se esso fosse l’indice estremo di una questione economica, un proletariato arabo consapevole della propria condizione avrebbe già spazzato via la realtà feudale che lo opprime; avrebbe, inoltre, fatto piazza pulita delle frange estreme che lo guidano e, con esse, anche tutti i deliri religiosi che lo pervadono. E ciò perché queste élites rivoluzionarie, a fronte di una possibile crescita della coscienza proletaria araba, non avrebbero modo di perpetuarsi come leadership, indicando e realizzando un sistema sociale capace di produrre più benessere del capitalismo.
Ecco, dunque, il problema decisivo relativo alla riflessione storico-filosofica contemporanea: il senso e il destino dell’uomo a fronte del contrapporsi di civiltà diverse motivate da fini opposti e non compatibili. In altri termini, la questione fondamentale dell’antropologia, e cioè il problema di una sua veridicità fondativa a valenza universale e il travagliato e contraddittorio manifestarsi della sua risoluzione, che sembra darsi come insopprimibile tendenza spontanea del genere umano. Cosa significa infatti affermare che, a competizione libera e pacifica, il modello socioeconomico capitalistico è destinato a vincere, se non dichiarare di fatto che esso rappresenta, per ora, il punto più avanzato -in quanto liberamente riconosciuto- dell’incivilimento umano? Ciò vale per qualsiasi altro confronto passato e presente.
Infatti, questa stessa ipotesi avremmo potuto formularla anche v ...[continua]

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