Cari amici, 
in settembre ho accompagnato un gruppo di turisti nel nord del Marocco. Molti di loro erano già stati con me nel sud e avevano dunque già provato quell’emozione che ti prende una volta oltrepassato l’Atlante, verso il deserto e le sue profondità. Un’emozione fatta di paesaggi e incontri genuini, di villaggi sperduti dove il sorriso e l’accoglienza sono il linguaggio comune e la povertà, pur drammaticamente presente, fa sognare d’esser pulita e felice. Ma quella è la frontiera marocchina, l’avamposto del Sahara. Il Paese lo scopri veramente nel suo cuore economico, nel tessuto urbano tra Casablanca e Rabat e oltre, tra le coste atlantiche e mediterranee, lontano dagli stereotipi troppo presenti nel nostro immaginario. Nel viaggio che ho proposto ho cercato di rompere con lo schema classico per condurre i turisti in un paese più concretamente vero, con tutte le sue vive contraddizioni e per questo a parer mio ancora più interessante. Tutto è andato bene all’inizio: accompagnato da una benevola fiducia dei partecipanti, ho potuto mostrare una Casablanca allettante, piena di stimoli e di bellezza inaspettata; dalla spiaggia popolare di Sidi Abdrahmane nella luce tagliente del tramonto, alla passeggiata tra i palazzi art deco e moresca che ne fanno un patrimonio architettonico d’importanza mondiale. Ho addolcito il discorso accontentando i turisti nella visita della grande moschea che salpa verso l’Occidente, la Hassan II, costruita con tanti risparmi dei marocchini e la volontà di potenza di un sovrano non illuminato. È passata senza grossi inconvenienti pure l’elegante Rabat: la più europea tra le capitali marocchine, dai monumenti belli e notevoli. E l’incontro con associazioni locali di aiuto alla disabilità non ha guastato la festa. Ma si trattava soltanto dei primi agili passi nel "Maroc Utile” di francese memoria, lungo una costa atlantica sicuramente in movimento, con grandi speculazioni fondiarie e immobiliari. Il "bello” sarebbe dovuto cominciare di lì a poco, da Larache in poi, con la crescita esponenziale dei piccoli centri urbani e la povertà cruda di chi rimane ai margini di un tale sorprendente sviluppo. A Tangeri e poi Tetouan, passando lungo il bellissimo Stretto, con una pausa grottesca,  in un clima improvvisamente tormentato, a Belyounech, al confine con Ceuta/Sebta, ai piedi del Jebel Musa, l’altra colonna d’Ercole, imponente e cupa. Spiagge di traffici e case nate come funghi, costruite in fretta e alla rinfusa, cancellando rapidamente la sua storia, pure straordinaria. Qualcuno, più sensibile all’argomento, avrebbe voluto vederlo coi propri occhi quel limite crudele della politica odierna che è l’altissima rete metallica che separa la Spagna marocchina dal Marocco vero e proprio: il clima tempestoso non ha neppure permesso che si vedesse nitidamente, ma la polizia con le camionette pronte al sequestro dei migranti erano appostate lungo la foresta del Jebel Musa. 
Pochi giorni dopo sarebbe successo l’inaccettabile proprio qui vicino: i colpi della Marina reale contro la barca di migranti e la morte della giovane di Tetouan. Non abbiamo vissuto le proteste conseguenti, ma una città apparentemente serena, ovattata in un’atmosfera irreale: vi è in questi ultimi anni un evidente tentativo di trasformare la città più irrequieta, dalle contraddizioni più forti, in una città turistica, essendo essa tra l’altro alle porte dell’Europa. Forse si vorrebbe una nuova Chefchaouen, ma il paragone non può calzare e credo Tetouan sia destinata ad essere ancora per molto tempo la sentinella del malessere della popolazione marocchina. Già capitale del Marocco spagnolo, ha una storia e un’architettura di tutto riguardo. Diciamolo con semplicità: è bellissima! Ma non basta questa sua abbagliante bellezza e neppure la vicinanza del mare a destare l’interesse del turismo internazionale. Il suo mare è il Mediterraneo: quale immaginario magnifico ne consegue! Invece, al di là di qualche spiaggia di grido adorata persino da Sua Maestà il re, è lo stesso Mediterraneo che fa sprofondare nello sconforto. Una costa ardua, scoscesa e dunque ricca di calette, ma inaccessibile. Villaggi moderni piuttosto desolati, vissuti con un certo entusiasmo soltanto d’estate, quando il turismo interno vi si riversa. Per il resto dimenticati e squallidi. Molta trascuratezza e rassegnazione. è terra di mafia, kif, traffici di hashish e migranti. Cela perle di bellezza naturale e interesse antropologico, ma non si presta facilmente ad un immaginario turistico, piuttosto ne rifugge. Abbiamo sostato ben due notti a El Jebha, porticciolo di pesca a metà strada tra Tetouan e Al Hoceima. Il turista più disponibile ha faticato ad adattarsi alla sporcizia del luogo, per abituarsi poi lievemente alla calma assoluta, alla sua atmosfera rarefatta. Il Marocco inutile spagnolo è precisamente qui: in un ‘Puerto Capaz’ (il nome spagnolo) dove si mangia pesce buonissimo senza alcuna pretesa di comodità e il mare domina assoluto, mentre inaccessibile è invece l’entroterra ripido e asciutto. Prima di avventurarci lungo la Strada dell’Unità (fortemente voluta da Mehdi Ben Barka, quando lo statista marocchino ancora contava nelle scelte politiche nazionali), che collega il Marocco spagnolo a quello francese, scendendo dalle aspre cime del Rif verso Fes, ho voluto fare tappa in un luogo remoto, un tempo importante punto di collegamento marittimo tra Fes e il resto del Mediterraneo, oggi piccolo villaggio di pescatori abbandonato a se stesso e alla compagnia prepotente di una caserma militare spagnola arroccata sul Peñon de Velez de la Gomera. Essa è una delle tante Plazas de soberanía sparse lungo la costa marocchina tra le due principali ‘fortezze’ di Ceuta e Melilla, tangibile insulto all’integrità territoriale del Marocco. Come il Peñon di Al Hoceima è uno scoglio occupato dagli spagnoli fin dal XVI secolo, e ci ha pensato la natura, con un sisma negli anni Trenta del Novecento ad unirlo concretamente al Marocco. Oggi i pescatori di Badès possono lavorare sulla piacevole spiaggia fino ad una corda blu, tirata maldestramente tra due paletti conficcati nella sabbia: la delimitazione del confine tra nord e sud del mondo a queste latitudini.
Il passaggio successivo dal Marocco Inutile degli spagnoli e del kif, a quello Utile dei francesi è stato percepito anche visivamente nel lungo e tortuoso percorso in pulmino attraverso la mitica strada dell’Indipendenza. Dalle cime aspre del Rif con il verde cupo del kif, ai colli dolci e il biondo della paglia raccolta a fine estate nei grandi fondi di un ambiente più favorevole all’agricoltura, avvicinandoci alla città imperiale più antica. Da un paesaggio aggressivo ad uno più accogliente e riposante. Il più confortevole finale di viaggio nelle medine popolose e ricche d’arte e storia di Fes e Meknes non è stato sufficiente a mitigare i contrasti vissuti nei quindici giorni di viaggio, ad alleviare le ferite dello sguardo. Il mio gruppo non ha apprezzato quanto io speravo il Marocco. Questo per molti di loro era il secondo e, probabilmente, quello davvero inutile.