Nei giorni scorsi è arrivato a me, come a molti, il documento di convocazione dell’assemblea dell’Onda, a Roma, il 15 e 16 novembre.
Vale la pena di farne circolare almeno qualche stralcio per rendere meno vaghi i fini e la natura di questo movimento, che, certo, scoprirà se stesso o cancellerà se stesso un passo dopo l’altro, ma che, appunto, bisogna seguire e cercare di capire giorno per giorno, al di là delle differenze di generazione, man mano che si definisce.

Il titolo -“L’onda prepara la grande mareggiata! Appello della Sapienza occupata per l’Autoriforma dell’Università”- è comprensibilmente ottimistico e certo ambizioso.
Il testo, dopo la riproposta dello slogan più noto del movimento, “Noi la crisi non la paghiamo!”, prosegue:
“Da più di un mese assistiamo al crollo sistematico delle borse mondiali, preludio alla vera crisi, quella dell’economia reale. Chi è sopravvissuto fino ad oggi indebitandosi con le banche sarà esposto al rischio di perdere da un lato la capacità d’acquisto e dall’altro la fonte principale di finanziamento dell’apparato produttivo e industriale. In Italia la risposta del governo è chiara: racimolare soldi tagliando indiscriminatamente la spesa pubblica per sostenere il sistema bancario.
La legge 133 prevede infatti una serie di provvedimenti volti a “razionalizzare e ridurre la spesa e il debito pubblico”. Tra i settori che più vengono colpiti da tagli e privatizzazioni ci sono scuole, università e ricerca. Infatti, insieme alla drastica riduzione del personale, si prevede la possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazioni di diritto privato, cancellando così il carattere pubblico dell’istruzione come sancito dalla Costituzione.
Non ci sorprendiamo. Sono ormai 15 anni che Università e ricerca non vengono considerati come settori strategici in cui investire, sia dai governi di centrodestra che di centrosinistra. Crediamo che l’uscita dalla crisi sarà possibile solo investendo in un modello capace di coniugare maggiori investimenti nelle scuole, nell’università e nella ricerca, pubblica e libera dalla dicotomia stato-mercato.
Noi la crisi non la paghiamo! significa in primo luogo la richiesta di abrogazione delle leggi 133 e 137, in quanto strumenti principali di dismissione di scuola ed università.
(…) Le linee guida dell’ultimo decreto Gelmini sull’Università ci consegnano il quadro più complessivo del tentativo di riforma: differenziare i finanziamenti per gli atenei, usare la retorica del merito per dequalificare i saperi e costruire gerarchie nel mercato del lavoro, imporre una presunta logica dell’efficienza produttiva per innalzare le rette, rafforzare i numeri chiusi e introdurre i prestiti d’onore, ovvero quel meccanismo del debito che sostanzia i processi di finanziarizzazione del welfare, così come la loro crisi. (…) Di fronte a questo programma, la proposta di copertura delle borse di studio per gli idonei non vincitori, è una magra consolazione. (…) L’assemblea nazionale del 15 e il 16 novembre sarà un’occasione di discussione importante per tutte le facoltà e gli atenei in mobilitazione, non solo per intensificare la critica della legge 133 e dei futuri sviluppi delle politiche di governo, ma soprattutto per concepire una prima discussione che si ponga come obiettivo quello di garantire l’estensione e la durata di questo movimento. (…)
Si tratta ora, con questa prima discussione nazionale, di definire un progetto ampio che riesca ad immaginare i discorsi e le pratiche comuni attraverso cui continuare a far vivere la straordinarietà di quello che abbiamo fin qui prodotto. Si tratta di progettare un’autoriforma, cioè di dar vita non solo ad un’assemblea programmatica, ma ad un momento costituente, in cui tutti insieme definire una proposta di riforma possibile per l’università. Criticare il definanziamento e il progetto di dismissione del sistema formativo significa infatti non fermarsi alla conservazione dell’università esistente, come l’abbiamo vissuta fino ad adesso, perché quell’università è il luogo di moltiplicazione della precarietà, di dequalificazione dei saperi, della subordinazione al potere baronale. La sfida, ben più radicale, è di individuare le tracce progettuali attraverso cui trasformare l’università, non in un più o meno lontano futuro ma nel presente.
L’unica riforma possibile è quella che abbiamo già iniziato a praticare, come studenti, ricercatori e dottorandi, il sapere vivo che anima i diversi settori della form ...[continua]

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