Da tempo nelle società occidentali, e in particolar modo in Italia, si assiste a un duplice processo che vede da un lato un progressivo aumento del numero degli anziani, che godono anche di sempre maggiore longevità, mentre dall’altro gli stessi anziani vivono profondi cambiamenti psicologici e culturali del loro status che possiamo qui sintetizzare con il termine "giovanilizzazione”. Entrambe le tendenze sono inedite e cariche di conseguenze. Infatti, mentre la figura dell’anziano è una costante nella storia umana, mai sono esistite società connotate da un così alto numero di over 65. Di conseguenza, la cosiddetta "terza età” è ormai assimilabile a una sorta di prolungamento della condizione di adulto, mentre tendenzialmente la "vera” vecchiaia si posticipa a una quarta età che si colloca ormai intorno alla metà dell’ottavo decennio della vita.

Sempre più anziani, sempre più longevi
I dati censuari dicono inequivocabilmente che il numero degli anziani cresce: tra il 2001 e il 2011 gli ultrasessantacinquenni sono passati dal 18,7 al 20,8% del totale della popolazione. La crescita relativa è tanto più forte quanto più ci si sposta verso le età anziane: gli ultrasettantacinquenni, ad esempio, salgono dall’8,4 al 10,4% del totale e i 95-99enni sono quasi raddoppiati, in dieci anni. Ma sono i centenari, l’avanguardia della longevità in atto, che presentano l’incremento più eclatante: nel 1981 erano appena 1.304, oggi (2011) sono 15.080.
Le previsioni dell’Istat confermano la corsa dell’invecchiamento: tra trent’anni (scenario centrale) gli anziani potrebbero costituire il 32,1% della popolazione, mentre i grandi anziani (sopra gli 85 anni) saranno il 6,1%, dal 2,7% attuale.
Com’è noto, l’invecchiamento di una popolazione ha due motori demografici: la denatalità che riduce il peso delle generazioni più giovani e la longevità che allunga la vita media (Golini, Rosina, 2011). Circa la prima, l’Italia, fin dagli anni Settanta, ha conosciuto un calo delle nascite che ha raggiunto il suo punto più basso alla metà degli anni Novanta per poi risalire, ma solo molto lievemente. Come conseguenza la classe di età 25-29 anni nell’ultimo decennio si è contratta del 22,9% e quella dei 30-34 anni del 16,8%. Più in generale la fascia tra i 10 e i 39 anni ha perduto nei primi dieci anni del XXI secolo poco meno di due milioni e 300 mila unità (nonostante l’immigrazione), erodendo così la base della piramide della popolazione italiana.
L’altro motore è dato dall’aumento della speranza di vita, cresciuta di oltre 13 anni dal dopoguerra. Le ipotesi di evoluzione della mortalità, sempre di fonte Istat, indicano un ulteriore progresso: nel primo trentennio di questo secolo dovremmo aggiungere altri quattro anni di vita, per cui le donne arriverebbero nel 2030 a 87,4 anni e gli uomini a 81,9. Le prime godrebbero in particolare della positiva evoluzione delle patologie cardiocircolatorie, mentre i secondi trarrebbero vantaggio dalla riduzione della mortalità tumorale.

Sempre più anziani, ma sempre più giovani(li)
I marcatori della giovanilizzazione degli anziani sono molti: qui ne prenderemo in considerazione solo tre.
Il primo è dato dall’autopercezione. Secondo una ricerca, su cento anziani (65+ anni) solo il 53,5% si definisce tale, mentre il 40,8% si dice adulto e il 5,5 giovane (Demos & Pi, 2006). Di conseguenza, a livello di accettazione linguistica, il termine anziano, almeno nella terza età, tende a essere sostituito da "maturo”. Il secondo marcatore è dato dalla qualità della salute. I dati non confermano il pessimismo di coloro che vedono l’aumento della sopravvivenza segnato dalle sofferenze di patologie cronicizzate. In realtà, le rilevazioni sulla salute della popolazione constatano un progressivo aumento tra gli anziani degli anni vissuti in autonomia funzionale completa, specie per gli uomini, che spingono la cattiva salute a età sempre più avanzate. (Anche se questo non impedirà alla deriva demografica, cioè all’incremento della popolazione anziana e molto anziana, di far comunque crescere le disabilità lievi e gravi.)
Il terzo aspetto si connette alla mentalità e agli stili di vita, di cui i comportamenti di consumo sono una spia. Qui si apre un mondo ampio che sempre più interessa il cosiddetto marketing generazionale, alla ricerca di quei nuovi target dati dai cosiddetti consumatori senior. Il fatto è che si impongono "nuovi” anziani dalle crescenti disponibilità di reddito, con maggiore prop ...[continua]

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