I giovani come classe di età
I giovani residenti in Italia hanno in comune la caratteristica di essere pochi rispetto alla generazione precedente e quindi alla popolazione, e di essere, in considerevole e crescente percentuale, stranieri.
Delle tre fasce di età in cui vengono suddivise le popolazioni -0-14, giovani; 15-65, adulti; e più di 65, anziani- tra il 2002 e il 2012 quella dei giovani è in leggera diminuzione (dal 14,2 al 14%). Quella degli adulti passa dal 67,1 al 65,1%. Quella degli anziani dal 18,7 al 20,8%. L’indice di vecchiaia arriva a 151,4 anziani ogni cento giovani. L’indice di dipendenza strutturale, cioè il numero di persone troppo giovani o troppo vecchie per lavorare legalmente ogni cento in età attiva passa da 49,1 a 54,2. È vero che si considerano "giovani” in Italia anche i trentenni, ma, nella popolazione attiva, il rapporto tra il numero delle persone tra i 40 e i 64 anni e quelle tra i 14 e i 39 è passato da 93,5 a 123,2. Ogni coorte è meno numerosa della precedente. La metà più vecchia aumenta; quella più giovane diminuisce.
I morti ogni mille abitanti erano più numerosi dei nati già nel 2002: 9,8 contro 9,4. Nel 2012 sono 10,3 contro 9,0. E bisogna tener conto che gli stranieri sono più giovani e che il numero di neonati figli di una straniera è in aumento, e si concentra a Nord.
"L’incidenza di nati da madri straniere sul totale supera nel Nord il 28% e nel Centro il 23%, mentre nel Mezzogiorno non si arriva all’8%”.
Sono stranieri per la legge in Italia solo i figli di due stranieri, ma la maternità è una realtà fisica e culturale forte quanto la cittadinanza, anche se non ha le stesse conseguenze giuridiche. La diminuzione delle coorti in Italia è in atto dal 1964, da mezzo secolo: due generazioni anche se si tiene conto del ritardo nella nascita del primo figlio. Perciò è diminuito il numero delle donne in età fertile ed è cresciuto il numero delle straniere tra esse. La diminuzione delle nascite degli ultimi anni è dovuta all’invecchiamento delle straniere.
Senza ipotizzare ondate di stranieri giovani in arrivo, per la crisi e perché le albanesi e le rumene giovani sono finite, sono già emigrate in Occidente, bisogna prendere atto che i giovani residenti in Italia, anche nel senso di trenta-quarantenni, che è un limite molto alto, almeno al Nord, non saranno, per un quarto, per un terzo, figli di italiani. Nulla di preoccupante. Gli Stati Uniti, ma anche la Germania, la Francia, l’Inghilterra, in misura minore, hanno altissime percentuali di residenti non figli di cittadini. Se non tutti sono considerati stranieri dipende da leggi meno assurde della nostra. Gli Stati Uniti hanno lo ius soli in senso stretto: sono cittadini tutti i nati sul territorio nazionale, anche se per caso e se figli di immigrati clandestini, da espellere. La Francia ha lo ius soli alla maggiore età, culturalmente inclusivo. La Germania ha avuto uno ius sanguinis molto rigido, che includeva però nella nazione i germanofoni, dovunque abitassero. Oggi naturalizzarsi è possibile, anche se più difficile che in Francia. In Inghilterra la inclusione dei migranti, come cittadini o come denizen, è estremamente frequente, senza la sforzo francese e tedesco sulla inclusione culturale.
La misura più urgente perché l’Italia abbia un futuro è la inclusione dei giovani stranieri nella cittadinanza con una qualche forma di ius soli. Potrebbe discenderne un profondo mutamento nei percorsi scolastici e universitari. L’Italia non ha formato un numero adeguato di specialisti nello studio delle lingue e delle culture europee, mediterranee, africane. Di fronte alle tragedie dell’altra sponda l’atteggiamento prevalente della maggior parte dei media è di chiusura. Anche i commentatori che deplorano l’indifferenza propongono per lo più la chiusura a difesa; l’attacco preventivo; l’intervento umanitario in difesa dei gruppi che in quel momento sono in pericolo e ci sembrano -sono- vittime; sempre però sottolineando la differenza incolmabile tra la "loro” ferocia e la "nostra” umanità.

I vivi e i morti
Non si sa come dirlo per rendere evidente il puro fatto empirico. Dire che nel 2012 i morti erano il 10,3 per mille e i nati il 9 per mille della popolazione residente vuol dire che ogni anno morivano circa 620.000 residenti in Italia, quasi tutti cittadini italiani, perché gli stranieri sono giovani, e che nascevano 540.000 bambini, più al Nord che al Sud; e al Nord, per un terzo, avevano una madre straniera. Ora stanno morendo, in media, gli ottantenni, nati negli anni Trenta e già decimati da guerre, emigrazioni e malattie. Tra una quindicina di anni morranno in media i nati negli anni Cinquanta, più numerosi, decimati dalle migrazioni, ma rimasti sempre poco sotto il milione. Il sistema sanitario nazionale, che per giunta sta peggiorando, non ci rende eterni. L’invecchiamento degli italiani si arresterà per morte, non per nascite.
Personalmente non ci sarò a vedere quel che succede perché sono nato negli anni Trenta, ma chi ci sarà vedrà una rapida diminuzione della popolazione, come ora nell’Europa centro orientale, oppure un rapido aumento della percentuale di immigrati. È molto difficile che ci sia un rapido aumento dei nati da cittadine italiane per ragioni di numero, che diminuisce a ogni generazione, e di età, che sale inesorabilmente col calendario, delle cittadine. Se non ci saranno nuovi arrivi vuol dire che la crisi economica e sociale si sarà aggravata tanto da scoraggiare gli arrivi, come ora avviene per il Sud. I giovani italiani non solo hanno una bassa percentuale di attività -il nostro sistema concentra il lavoro su chi lavora-  ma sono pochi.

Giovani ricchi e poveri

A complicare il quadro dei giovani come gruppo c’è la grande, e crescente, diseguaglianza. Non è facile trovare dati oggettivi perché le dichiarazioni dei redditi sono menzognere e, anche quando non lo sono, non sempre separano padri e figli. Si può procedere per approssimazioni successive e convergenze.
Il 75% degli italiani vivono in una casa di proprietà. Perciò il 25% paga l’affitto; e lo paga, nella maggior parte dei casi a individui, non a società immobiliari o a enti di edilizia sociale. I giovani che pagano l’affitto, o sono figli di genitori che lo pagano, formano un gruppo in difficoltà fin da ora -difficilmente possono contare su un sostegno economico, anche se vengono ospitati- e in prospettiva non erediteranno una casa al passaggio di generazione. L’Italia non ha una tassa di successione degna del nome (4% sopra della quota esente per gli eredi diretti, un decimo di Francia, Germania, Inghilterra; 6% per gli eredi indiretti; 8% per gli estranei). La ricchezza non può che concentrarsi. A parte i molto ricchi, che associano i figli alla gestione dei patrimoni, basta essere figlio del proprietario di alcuni appartamenti per non accorgersi delle difficoltà economiche e non doversi preoccupare, nell’immediato, della disoccupazione.
Naturalmente vivere di rendite modeste è una forma di autoesclusione. Un paese non può vivere soprattutto di rendita, anche se i paradisi fiscali ci provano. Il lavoro in senso lato non è solo un modo per mangiare e vestirsi; è parte essenziale della vita, sia che si lavori soprattutto con le mani, sia che si lavori con la testa. Se qualcuno può realizzarsi nella movida che anima le notti di alcune città, è chi suona, canta, cucina; più difficilmente chi serve al bar o in tavola; non chi si limita a tirar mattina bevendo birra. Speriamo che almeno si diverta. La movida nei giorni feriali, di cui qualche volta i commentatori discutono, è soprattutto una misura della disoccupazione o dell’inattività giovanile.

Nord e Sud
"A fianco delle trasformazioni familiari che vedono le coppie favorire sempre più forme di unione alternative al matrimonio, come stanno a testimoniare sia l’aumento delle libere unioni (oltre 600 mila quelle tra individui celibi e nubili nel 2012) sia l’aumento delle nascite concepite fuori dal matrimonio (pari al 24,8% del totale nel 2012), si è andata trasformando negli anni anche la modalità di celebrazione del rito medesimo. In particolare, perde ulteriore terreno il matrimonio con rito religioso, sceso tra il 2008 e il 2013 dal 63,2% al 56,9%, a vantaggio del rito civile, passato dal 36,8% al 43,1%. In tutte le regioni del Nord quest’ultimo rappresenta ormai la scelta più diffusa (55,7%). In Provincia di Bolzano optano per il rito civile circa due coppie su tre (63,7%) e a non molta distanza si collocano anche le coppie liguri (61,6%) e quelle del Friuli-Venezia Giulia (60,7%). Più orientata al rito religioso è invece la scelta effettuata dalle coppie del Mezzogiorno, dove solo una su quattro sceglie il rito civile (26,9%). A preferire in assoluto il matrimonio di tipo religioso sono le coppie della Basilicata (85,4%) e quelle della Calabria (82,5%).” Ho riportato per intero il brano tratto dalla struttura della popolazione italiana dell’Istat perché dà un’idea sintetica non solo del mutamento della società italiana ma della sua drammatica polarizzazione. Gli indicatori sanitari -mortalità, morbilità- segnalano una frattura altrettanto marcata. Non c’è più un’Italia a macchie di leopardo; il confine sotto Roma è tornato a essere una vera barriera. Ci sono sempre differenze interne al Nord e al Sud; ma la fine delle isole di grande industria al sud e delle risorse tradizionali crea veri e propri abissi.

E allora?
Non siamo tutti sulla stessa barca. Non solo perché ci dono i ricchi e i poveri ma perché   c’è assai meno che in passato una continuità, una trasmissione culturale tra le generazioni. Ci era sembrata grande la discontinuità che ci aveva coinvolti tra l’agricoltura di sussistenza e l’industria, tra l’istruzione solo per i figli della classe colta e quella per tutti. Ma la discontinuità era pur sempre affrontata con gli strumenti di una cultura politica condivisa. Ora sembra di vivere in un mondo di analfabeti di ritorno, in cui sembrano sparite la storia e le competenze elementari sul mondo che ci circonda. È vero che ci sono ragazze e ragazzi che rischiano la vita per viaggiare in luoghi difficili e raccontarli. Ma lo fanno davvero a loro rischio e pericolo e a loro spese. L’editrice che pubblicava alcuni degli articoli di Steven Sotloff, il secondo dei giornalisti americani decapitati, ha parlato del suo senso di colpa per non averlo assunto. Può sembrare un piccolo problema, una storia quasi sindacale. Ma non lo è. La frattura tra inviati e free lance; tra resoconti ufficiali e indagini condotte senza mezzi e senza sbocchi; l’abbandono di chi conosce e rischia al suo destino; la separazione tra notizia e spettacolo, sono tra le cause dirette della nostra cecità.