Quali obbiettivi avete dato alla vostra presenza a Mostar?
Il primo obbiettivo è un progetto sanitario, nato quando ancora croati e mussulmani si combattevano, e che riguarda l’ospedale Jenski. Quest’ospedale si trova nella zona est, mussulmana, della città e durante la guerra è stato più volte bombardato. Le condizioni mediche e dei ricoverati erano indicibili: i pochissimi medici rimasti operavano al lume di candela, i pazienti erano nei sottoscala. Per le radiografie, che erano la cosa più importante dato che si faceva soprattutto chirurgia di guerra, non c’era nemmeno una camera schermata, per cui si "sparavano" le radiazioni in mezzo ad un corridoio e per evitarle avevano tentato una schermatura togliendo le lastre di piombo dal tetto di una moschea bombardata. Il progetto di sostegno a questo ospedale è stato finanziato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e ora stiamo operando in stretto collegamento con l’amministrazione europea della città. Naturalmente il progetto è stato riadeguato alla nuova fase, in cui non c’è guerra, ponendo tre obiettivi: uno, sempre di sostegno ai laboratori degli ospedali, perché siano in grado di fare analisi, un altro di sostegno alle strutture sanitarie di base, un terzo di riorganizzazione del magazzino dei farmaci. Vorrei che si riflettesse su quest’ultimo punto, perché l’esperienza che abbiamo fatto può insegnare molte cose a chi organizza gli aiuti a popolazioni colpite da calamità, terremoti o guerre che siano: nella parte est sono arrivate donazioni di vario tipo, alcune assolutamente essenziali, come il cibo, ma anche grandi quantità di materiale sanitario veramente assurde. Ancora adesso, nell’ospedale Jenski, si trovano macchinari che non si sa cosa siano, non si sa da dove provengano, senza un libretto di istruzioni, non si capisce come debbano funzionare. E’ arrivato anche un ospedale da campo dal Sudafrica, chissà per quale via, che ha girato per circa un anno e mezzo per la Bosnia, prima di arrivare a Mostar, dove è stato allestito dentro una serie di containers. C’erano due macchinari per le analisi, abbastanza sofisticati, del costo forse di trecento milioni l’uno, che non si sapeva come far funzionare. Dopo lunghe peripezie abbiamo saputo che la macchina è fuori commercio da otto anni, richiede almeno una manutenzione al mese, cosa impossibile in quelle condizioni, e ci hanno consigliato di metterla da parte. Una città devastata da una guerra che ha distrutto quasi interamente la zona est e che ha fatto crollare tutti i ponti sulla Neretva, non è in condizione di ricevere aiuti che non siano bene organizzati. Nel giro di poco tempo nella città sono sorti alcuni centri di raccolta di medicine di tutti i tipi, non classificati, non organizzati e quindi quasi inutilizzabili. Chi sapeva dove trovare il tale medicinale? La corsa alla solidarietà, se non incanalata correttamente, rischia di creare più difficoltà di quelle che può risolvere. Un’altra lezione appresa è che i gruppi e le associazioni presenti in un teatro di guerra devono assolutamente coordinare i loro sforzi, per evitare una duplicazione degli interventi ed uno spreco di fondi ed energie.
Puoi spiegare cosa avete fatto in concreto?
Abbiamo cercato di rispondere in pratica a quello che lì si chiedeva. Torno all’esempio del magazzino dei farmaci: ci siamo fatti regalare un computer da Milano, un furgoncino ce l’hanno regalato da Matera, una scaffalatura è arrivata da Siracusa, il frigorifero da Afragola, abbiamo fatto venire una persona da Milano per un corso sul computer, e così siamo riusciti ad organizzare il magazzino dei farmaci, arrivando fra l’altro a stringere profondi rapporti d’amicizia con quelli che lavoravano in questo magazzino e ad entrare in buoni rapporti con le autorità sanitarie ad est.
Però ci siamo anche posti il problema di non lavorare solo ad est, una scelta oggi irrinunciabile, se si vuole fare effettivamente un’opera che punti alla pacificazione. Non c’è dubbio sulla disparità delle condizioni materiali, ma anche questo tutto sommato è relativo. Il problema vero è di concepire qualunque cosa si faccia in modo da comprendere le due parti della città, senza favorirne una. Un errore di questo tipo rafforzerebbe fra l’altro nella parte ovest le forze contrarie alla pacificazione, con ...[continua]
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