Luisa Muraro, filosofa, femminista, tra le fondatrici della comunità filosofica "Diotima” presso l’Università di Verona, fa parte della Libreria delle donne di Milano e della rivista "Via Dogana” dagli inizi.

Alla vigilia della manifestazione del 13 febbraio, alcune donne avevano avanzato critiche e perplessità sulla formulazione dell’appello. In particolare non era piaciuta la distinzione tra donne "per bene” e donne "per male”. Anche tu sei intervenuta...
Per capire il dibattito che si è aperto attorno alle manifestazioni del 13 febbraio per me è importante ricordare alcuni precedenti. Già in passato Concita De Gregorio e altre donne avevano espresso una specie di sollecitazione impaziente, e anche polemica, nei confronti delle donne perché -a loro dire- le donne non reagivano come avrebbero dovuto davanti a certi problemi e a certi scandali.
Il primo precedente è l’appello Usciamo dal silenzio per difendere la legge 194 sull’interruzione di gravidanza, legge la cui modificazione stava diventando merce di scambio tra politici italiani e vaticani. In quell’occasione alcune, in risposta polemica a quell’invito, avevano coniato uno slogan giusto e spiritoso, "Mai state zitte”. Infatti il femminismo in Italia non ha mancato di far sentire la sua voce, con i mezzi di cui dispone. In definitiva a Milano ne è nata una grande manifestazione, ma con una parola d’ordine modificata: non "usciamo dal silenzio” ma "siamo uscite dal silenzio”. Anche nel recente appello della direttrice dell’Unità, Concita De Gregorio, Dove siete donne? Diciamo "ora basta”, lanciato dopo lo scandalo che porta il nome di Ruby Rubacuori, si sente prevalere questo atteggiamento di implicita accusa alle donne di non indignarsi abbastanza o di non manifestare la loro indignazione. Si tenga presente che sui giornali, sulle riviste, in televisione, alle donne che non fanno parte del mondo dello spettacolo o del do ut des politico, raramente viene offerto spazio per dire quello che pensano. Io stessa, che sono tra le femministe più conosciute, dovrei fare anticamera, cioè chiedere, aspettare e stare alle condizioni. Il che non è facile per una donna normalmente impegnata nella vita di tutti i giorni. Una volta, in occasione di un pubblico dibattito, mi proposi di correggere un duplice errore ripetuto da molti (la legge 194 presa per una legge abortista; le femministe confuse con i radicali che parlavano di diritto all’aborto, mentre noi abbiamo chiesto la sua depenalizzazione senza farne un diritto), perciò mi rivolsi al Corriere della sera, sede del dibattito e del tenace errore; ho avuto lo spazio che chiedevo ma per averlo sono stata mezza giornata al telefono. Dopodiché ti senti dire: perché state zitte? Insomma, una cosa doppiamente irritante. Questo, in breve, è l’antefatto più polemico.
Poi c’è la questione di merito. Ci sono state due chiamate nazionali alla manifestazione, l’appello lanciato da Concita de Gregorio e sottoscritto da altre, seguito da un manifesto intitolato Se non ora quando? L’appello, secondo me e molte altre, conteneva delle cose inaccettabili. La più inaccettabile era quella di dire che tutte le donne che non scelgono la prostituzione devono andare a manifestare la loro indignazione dicendo: "Ora basta”. Da qui, l’idea di donne italiane che vanno a manifestare la loro dignità provviste di carta d’identità e rivestite di una sciarpa bianca. Con qualche correzione, questo spirito perbenista si ritrova anche nel documento successivo che indice le manifestazioni per il 13 febbraio.
Invitata da una giovane amica a firmare il primo appello, che stava raccogliendo molte firme, ho scritto un testo che ha girato parecchio in Internet sul perché non l’avrei firmato: respingevo la separazione fra le donne coinvolte nello scandalo e le altre. Ho spiegato che per me una donna che si prostituisce non sta vendendo tutta se stessa, c’è una parte di lei che resta riservata. Infatti, parlando con donne che si prostituiscono, quasi nessuna, se non proprio per somma provocazione, accetta di essere chiamata, non dico nel termine volgarissimo che si usa, ma neanche "prostituta”. Non dicono: "Io sono una prostituta”, bensì "Mi prostituisco”, presentandola come un’attività in cui non si identificano totalmente. Perciò la separazione cui accennavi, di quelle per bene e di quelle per male, è sbagliata umanamente e politicamente. La correzione è servita; alla manifestazione di Roma, il 13 febbraio, una giovane donna si è emb ...[continua]

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