Mi sono laureato alla Sapienza in Lettere e filosofia, indirizzo storico, appassionandomi abbastanza presto alla storia degli anni 70. Subito dopo ho fatto un anno di dottorato senza borsa, e ho lavoricchiato, diciamo, come ragazzo di bottega all’Espresso, alla pagina culturale.
Sono uscito di casa abbastanza presto, a 24 anni e mezzo (mi sono laureato a 23 anni) e da allora non sono più tornato. Devo dire che sono stato anche fortunato perché in concomitanza con la scelta di andare a stare da solo, ho avuto una borsa di dottorato. Ho vissuto tre anni alla Garbatella, due anni con la mia ragazza, dopodiché sono entrato in un fase congiunturale della mia vita in cui era finito il dottorato, mi ero lasciato con la ragazza, in più le reti delle amicizie si sfilacciavano, così quando mi si è presentata l’occasione di andare a lavorare a Macerata all’Università, ho accettato. Ho fatto un post dottorato con l’assegno di ricerca breve, otto mesi, dopodiché sono tornato qui. Ora sono in attesa di partecipare a dei concorsi per ricercatore in Italia. Sto anche cominciando a prendere in considerazione l’ipotesi dell’estero, anche se spero di riuscire a tener duro, così da rimanere. Sono stato tre mesi negli Stati Uniti e ho capito quanto è importante avere una sponda fuori, anche proprio mentalmente. La conoscenza ormai si forma a livello internazionale. Però io spero di rimanere in Italia perché alla fine mi occupo di storia contemporanea, in particolare degli anni 70 che comunque hanno tantissime ripercussioni sul dibattito politico e la vita civile del paese. Ecco, in qualche modo penso che se c’è un posto dove posso incidere è qui, e non in qualche università fighissima all’estero dove però alla fine ti riduci a fare il tecnico della conoscenza.
Il mio ultimo assegno risale alla fine di settembre. Ho avuto anche abbastanza continuità, sono stato più fortunato di altri da questo punto di vista. Certo, i salari sono bassi, sugli 800 anche quando ero a Macerata ed ero costretto a fare su e giù. Quando metti la testa fuori dell’Italia vedi invece che i dottorandi prendono o il doppio o poco meno, insomma dei salari che permettono ben altra vita e ben altro percorso emancipatorio. Infatti i tanti amici "esuli” hanno subito messo su famiglia, anche grazie agli aiuti per l’asilo ecc. Questo mi ha colpito. Qui questo messaggio non passa: anche istituzioni come la Chiesa, che insistono tanto sulla famiglia sembrano non sapere che i bambini non si fanno senza salario.
Roma è una città difficile, c’è un mercato del lavoro molto complicato e un po’ opaco. E poi c’è il problema della casa: in zona universitaria anche una singola costa parecchi soldi, e piccoli bilocali hanno prezzi che un giovane da solo non riesce ad affrontare. La soluzione più comune è infatti quella di andare a vivere in gruppo, anche di trentenni. Ieri sera stavo a casa di una mia compagna, una coetanea: sono tutti trentatrè-trentaquattrenni. Altrimenti bisogna avere la fortuna di una famiglia che un po’ ti spalleggia, ma non tutti ce l’hanno, infatti, anche se non se ne parla, a Roma è in corso una specie di migrazione silenziosa di persone perché dopo la laurea non sono riuscite a trovare lavoro. Sono reti amicali che si sono completamente sfilacciate e non sto parlando solo di colleghi universitari, ma anche di fotografi, architetti e via dicendo. La gran parte dei miei amici se n’è andata, tutti all’estero, chi in Francia, chi negli Stati Uniti, chi in Belgio, chi in Inghilterra. Sono tutte persone molto specializzate con competenze molto forti. Parlo dell’ambiente dove sono cresciuto, ceto medio, anche altoborghese in molti casi. Comunque è pesante, anche proprio psicologicamente, vedere che tutti se ne vanno. A volte ci sono anche delle tensioni, qualcuno dice: "Voi ve ne siete andati, noi siamo rimasti qua”, loro ribattono: "Sì, ma non sapete cosa abbiamo pagato come prezzo”, perché poi c’è la lingua da imparare, un posto diverso, la solitudine…
Insomma è complicato. Con gli amici che invece sono rimasti a Roma siamo tutti più o meno nella stessa condizione di avere prospettive incerte, lavori preca ...[continua]
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