Franco Lorenzoni, maestro elementare, è coordinatore della Casa laboratorio di Cenci, Amelia.

Hai lanciato un allarme, che sta suscitando un acceso dibattito, sui rischi che può comportare l’introduzione degli strumenti digitali nelle scuole dell’infanzia e nelle elementari. Ce ne parli?

Sono molto preoccupato che i bambini, già a tre anni, vivano circondati da schermi e sono ancor più preoccupato che nella scuola dell’infanzia e nei primi anni della scuola elementare si introducano le Lim (Lavagne interattive multimediali) come strumento del lavoro didattico quotidiano. Il rischio, molto concreto, è che gli schermi diventino, per i bambini, il principale strumento di relazione con il mondo. Da quando ci sono i telefonini di ultima generazione e gli iPhone, tra l’altro, bambine e bambini anche molto molto piccoli sono attratti irresistibilmente da questi piccoli oggetti dotati di schermo, ricchissimi di proposte e seduzioni pensate per l’infanzia. Circondati da adulti spesso immersi per ore nel mondo virtuale, mi piacerebbe che i bambini, almeno a scuola, trovassero adulti capaci di indicare loro altre strade di gioco e di conoscenza. La scuola non dovrebbe mai appiattirsi sul presente e seguire le mode, ma essere un luogo capace di arginare, attenuare e criticare gli effetti di una invasione che sta cambiando profondamente le relazioni sociali ed il rapporto con la realtà.
La mia idea è molto semplice. Se la società si getta a capofitto in una direzione, la scuola dei più piccoli deve muoversi seguendo un principio elementare di precauzione, rifiutando di adeguarsi all’invasione tecnologica. L’idea di insegnare a leggere e a scrivere usando tablet e lavagne interattive mi sembra totalmente discutibile. Da qui nasce il mio appello perché almeno nel tempo scolastico, fino alla fine della seconda elementare, i bambini non incontrino schermi. Usino le mani tutte intere e tocchino la creta e anche un po’ di terra per piantare dei semi, anche in un giardinetto, insomma facciano cose che non li allontanino dalla realtà. Ho riletto di recente un bellissimo e famoso intervento di Elsa Morante contro la bomba atomica, dove nomina quella tecnologia distruttiva come drago dell’irrealtà, a cui l’arte e la poesia si debbono ribellare. Ecco, io penso che in questo momento il drago dell’irrealtà sia rappresentato dall’onnipresente onda tecnologica in cui è costretta a nuotare la prima infanzia. Il mercato non ha remore e non si ferma davanti a nulla. Se i bambini sono attratti da schermi accesi di ogni dimensione, ogni minuto della loro vita sarà riempito di schermi, con la complicità di noi adulti, a nostra volta storditi dalle infinite possibilità di comunicare (o credere di comunicare), che tecnologie sempre nuove offrono, tra l’altro a caro prezzo...
Ho insegnato tre anni nella scuola dell’infanzia e da più di trenta insegno nella scuola elementare. Frequentando quotidianamente bambine e bambini ho maturato la convinzione che esista una "cultura infantile”: una cultura che per sua natura è provvisoria, perché riguarda il nostro guardare e pensare il mondo nei primi anni, ma che in qualche modo sopravvive negli strati più profondi del nostro essere tutta la vita.
Tra le sue caratteristiche c’è lo scambiare il dettaglio con il tutto, il credere all’incredibile, il non soggiacere al principio di non contraddizione e, soprattutto, il sentirsi "sconfinati”, con le emozioni positive e negative che tutto ciò comporta. Sconfinati e sconfinanti, perché bambine e bambini piccoli hanno un modo di rapportarsi ai confini molto diverso dal nostro. I confini tra interno ed esterno, tra ciò che è vivo e non è vivo, tra il percepire e l’immaginare non conoscono frontiere armate e passaporti, come per noi adulti. I bambini attraversano continuamente questi confini perché si mettono in gioco e credono nei giochi che fanno. Perché sanno credere e non credere a una cosa al tempo stesso, lasciando convivere pacificamente le due convinzioni, come avviene per anni con Babbo Natale. E poiché la sospensione di incredulità è la miglior qualità che dovremmo avere noi adulti quando ci concediamo di essere spettatori o lettori di libri, ecco uno dei tanti motivi per cui ha così grande valore la cultura infantile, da cui continuiamo a pescare per tutta la vita.
Non credo che i bambini siano più buoni -perché possono essere capaci di crudeltà piccole e grandi- ma certamente sono più aperti verso il mondo e generalmente più dispon ...[continua]

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