Cosa si intende quando si parla di ictus?
L’argomento è quello delle vasculopatie cerebrali. L’evento acuto che le caratterizza è chiamato, con termine latino, ictus, e con termine anglosassone stroke. Entrambi i termini in realtà vogliono dire "colpo”; termine che descrive la caratteristica di insorgenza acutissima del disturbo, perché lo stroke, o ictus che dir si voglia, ha la caratteristica di insorgere in maniera totalmente subitanea in uno stato di perfetto benessere del soggetto che assiste all’instaurarsi della sintomatologia in maniera totalmente lucida. I sintomi sono dovuti a un improvviso deficit focale di una parte dell’encefalo a causa di un disturbo di afflusso sanguigno in quella zona, che può essere dovuto o all’occlusione o alla rottura del vaso sanguigno che apporta sangue (e quindi ossigeno e glucosio) al tessuto cerebrale.
Sfortunatamente il tessuto cerebrale, questo va detto sin dall’inizio, ha una capacità di sopravvivenza enormemente più bassa di qualsiasi altro tessuto del corpo umano, per cui una cellula cerebrale che sia completamente privata di ossigeno e glucosio muore nell’arco di tre minuti. In maniera totalmente irreversibile.
In realtà, quando c’è un deficit di apporto sanguigno in una zona dell’encefalo, noi distinguiamo un core, cioè un nucleo centrale dove il flusso è praticamente zero e dove sicuramente c’è stata necrosi, e invece tutta la zona periferica dove esiste ancora un minimo di perfusione. Questa è la cosiddetta "penombra ischemica”, che è quella che i vari interventi puntano a salvare.
Esistono due tipi di stroke: quello ischemico e quello emorragico. Per quanto riguarda lo stroke emorragico, non esiste ad oggi un trattamento specifico: possiamo solo controllare i parametri vitali del paziente. Invece, per lo stroke ischemico, per altro quello statisticamente più frequente (circa l’80%) abbiamo dei trattamenti sia farmacologici che di tipo endovascolare, meccanici, di disostruzione del vaso.
Storicamente, i primi trattamenti sono stati quelli farmacologici, i cosiddetti farmaci trombolitici, inizialmente utilizzati per l’infarto del miocardio e in seguito adottati anche per disostruire i vasi cerebrali in caso di stroke.
Non solo, come per l’infarto del miocardio si erano rese necessarie delle Utic, cioè delle unità di terapia intensiva coronarica, si è presto capito che anche per l’ictus era molto giovevole avere delle unità dedicate con personale specializzato affinché i protocolli terapeutici venissero svolti molto più rapidamente che da altre parti.
Come dicevo, la sopravvivenza delle cellule cerebrali è molto modesta. Trattare con un trombolitico un ictus ischemico dà giovamento fino circa a quattro ore e mezzo, ma la quantità del giovamento ha un decremento di tipo logaritmico: se è pari a 100 a un’ora, a due ore è già pari a 50, a tre ore è pari a 25, a quattro ore c’è ancora un 10% di miglioramento rispetto al non trattamento.
Dopo le quattro ore e mezzo non ha più senso fare il trattamento perché si rischia soltanto di andare a irrorare un territorio ormai necrotico producendo noi un ictus emorragico. Dalla necessità di estrema rapidità nell’effettuare il trattamento, deriva il bisogno di avere, non solo un’unità dedicata, ma anche un’organizzazione sul territorio capace di far afferire il paziente il più rapidamente possibile alla struttura dotata di una stroke unit.
Diceva dell’importanza di sensibilizzare la popolazione davanti all’insorgere dei sintomi.
È fondamentale che nella popolazione maturi quella coscienza di malattia che per quanto riguarda lo stroke, almeno in Italia, manca completamente. Mentre oggi tutti sanno che se sentono un dolore al torace, o al braccio di sinistra potrebbe essere un infarto, per cui corrono immediatamente in ospedale o chiamano il 118, nel caso invece di un improvviso deficit di forza (un braccio o una gamba debole, la bocca un po’ storta) o di una difficoltà di parola, la maggior parte delle persone pensa: mi passerà. Si sdraia a letto e aspetta, e quando il giorno do ...[continua]
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