Nadia Mountassir, marocchina, vive a Mannheim, in Germania, con il marito e i quattro figli; Mounia è la maggiore ed è nata in Italia.

Nadia. Io sono arrivata nel ’92, per raggiungere mio marito che era là dall’86. All’inizio si è sempre spostato, Bolzano, Napoli, Torino... ha girato parecchie città. Quando si è stabilito l’ho raggiunto. Abbiamo scelto l’Italia perché in quegli anni ci si andava senza visto, in Francia invece, dove saremmo stati facilitati per la lingua, era più difficile. In Italia si entrava più  facilmente, si cercavano i contratti, poi si facevano i permessi di soggiorno per due anni, poi altri cinque, poi a tempo indeterminato. Dopo dieci anni di residenza si poteva chiedere la cittadinanza. E infatti io, che sono stata residente per ventidue anni, sono cittadina italiana dal 2002. Adesso in Italia sono cambiate tante leggi, anche per avere la cittadinanza; solo per compilare il formulario ci vogliono 200 euro! Prima compilavi il modulo e lo portavi in prefettura. Dopo un mese e mezzo, se la pratica era stata accettata ti chiedevano certe documentazioni, e non si pagava niente, solo una marca da bollo da 14 euro. Poi aspettavi due-tre anni. Io sono stata fortunata, l’ho avuta in due anni, ma c’è gente che aspetta anche di più, quattro, cinque anni.
Come dicevo, sono arrivata giovane, in aereo, da Casablanca a Malpensa. Me lo ricordo ancora, era il due ottobre. Ero triste perché, capirai, lasciare tutto, la patria, i genitori, non è facile, poi sei ragazza, non sai come sarà il futuro. Appena arrivata volevo solo riprendere l’aereo e tornare indietro! Non sapevo neanche dove mettere i piedi. E faceva freddo! Ero abituata a un clima marocchino dove, sì, viene il freddo, che però non è mai troppo umido; in Brianza, invece, è umido e certe volte è più freddo che in Germania.
Dopo è stato tutto diverso, anche piacevole.
Dopo un anno ho iniziato a lavorare. Col lavoro riesci a socializzare, e poi uscire dalle mura domestiche è importante, se stai sempre in casa ti vengono tanti pensieri... Ho fatto prima il corso di italiano. Quando conosci la lingua ti senti a tuo agio, puoi comunicare con la gente. Senza sei proprio perso, ti senti un disastro.
Nadia. In Italia, sin dall’arrivo non ho mai incontrato difficoltà. Anche prima di imparare l’italiano riuscivo a comunicare perché conoscevo il francese, che è simile. Poi avevo dei vicini abruzzesi, ma anche una padrona di casa siciliana, molto accoglienti. I brianzoli, invece, sono un po’ freddi; ti danno il lavoro, ti danno i tuoi diritti, però sono più riservati. Ma non solo con gli stranieri! Anche fra di loro sono così. Madre e figlio magari si vedono soltanto nelle feste... Poi, una cosa che mi fa specie dei brianzoli è che se lavori e sei bravo non ti discriminano, ma comunque per loro algerini, tunisini, sono tutti marocchini! Non sanno la nazionalità... O sono tutti senegalesi, anche se magari sono libici. A noi questo fa ridere. Però ho notato una cosa, che c’è anche da noi in Marocco, tra gli italiani del sud: quest’invidia per quello che ha l’altro, e quest’ostentazione, far vedere quello che si ha, il lusso... I brianzoli no, anche se sono chiusi e freddi da questo punto di vista sono corretti.
Nadia. Tutto è cambiato dal 2008, ma c’erano già stati i primi segnali perché dove lavorava mio marito, una società composta da due fratelli, prima avevano cambiato nome alla ditta, poi hanno messo l’azienda in fallimento, poi ne hanno aperta un’altra... Insomma, si capiva che c’era qualcosa che non quadrava. Nel 2008 è iniziata la cassa integrazione, poi è entrato in mobilità, perché aveva meno di 50 anni. Quando finisce quella non ti tocca niente, neanche la disoccupazione, perché devi avere almeno un anno di contributi. Alla fine non prendevamo nemmeno più l’assegno per i bambini, che è collegato con la busta paga. Abbiamo cominciato a spendere anche quel piccolo risparmio che avevamo messo da parte e allora abbiamo capito che non potevamo più tirare avanti a lungo. Con quattro bambini, le bollette... Lì abbiamo deciso di lasciare l’Italia. Per prima cosa mio marito è andato in Belgio da solo, perché c’era un nostro amico che si era trasferito a Bruxelles e gli aveva detto: "Vieni a vedere se ti piace”. È andato ma non gli è piaciuto proprio! Mi ha detto: "Se portiamo i bambini là si rovinano”. Non vedeva un futuro per i bambini.
Allora ha deciso di venire qua in Germania.
Mio marito è venuto qua ed è stato ...[continua]

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