Com’è iniziata l’attività dell’associazione?
Silvana. Siamo nati nel 1994. All’epoca in Italia non era facile parlare di violenza contro le donne, vigeva la famosa formula: "tra moglie e marito non mettere il dito”; erano considerate cose personali. In Sardegna non esisteva alcuna associazione e anche a livello nazionale c’era veramente poco. I nostri primi contatti furono con Stefania Bartocetti, presidente del telefono Rosa di Milano, che in quegli anni produsse uno dei primi testi che trattava la tematica della violenza contro le donne nel nostro paese.
Così, con un gruppo di amiche, che dura tuttora, abbiamo deciso di fare qualcosa.
Fin da subito abbiamo capito che la tematica era delicata e complicata, quindi abbiamo voluto innanzitutto formarci. Per cinque lunghi anni tutte le settimane ci siamo dunque incontrate tra noi, ma anche con dei formatori sulle varie discipline.
Nel 1999 abbiamo aperto il primo Centro qui a Cagliari. Fornivamo soprattutto assistenza telefonica, anche se all’interno della nostra associazione c’erano già avvocate, psicologhe, assistenti sociali. Finalmente nel 2000 siamo diventare un "Centro antiviolenza”.
Intanto anche a livello nazionale cominciavano a uscire dei dati, assieme alla consapevolezza che le denunce che arrivavano alle forze dell’ordine erano solo la punta dell’iceberg.
Si trattava dunque di rompere il silenzio; bisognava anche combattere la scarsissima consapevolezza da parte femminile. Era chiaro che non bastava assistere la vittima, serviva anche una rivoluzione culturale. C’era bisogno che le due cose andassero veramente di pari passo, perché era inutile continuare a fare il nostro intervento se non cambiava niente nella comunità, nella società.
Quindi avete subito iniziato anche un lavoro nelle scuole.
Silvana. Una volta che abbiamo capito che c’era soprattutto un lavoro culturale da fare, ci siamo impegnate in un intervento massiccio nelle scuole di ogni ordine e grado. Non nego che la tematica preoccupava e spaventava anche noi: sapevamo di andare a parlare di qualcosa di molto forte, che poteva anche sconvolgere i ragazzi (tanto più se vivevano questa situazione a casa, come ci è capitato). Con gli anni la nostra competenza è aumentata e oggi facciamo interventi fin dalle classi della scuola primaria.
Antonella. Con bambini piccoli è importante trovare l’approccio giusto. Io uso dei giochi grammaticali. Poi lavoriamo molto sulla peer education: una volta che i ragazzini hanno imparato il rispetto, non solo per le donne, ma per tutti, questa loro "competenza” scavalca le mura scolastiche e arriva in famiglia, nel territorio...
Purtroppo, su questo versante, gli adulti di riferimento non sempre sono di aiuto. Mi ha colpito un bambino di seconda che, intervistato da un giornalista, ha risposto: "Gli adulti devono capire, devono prendere esempio da noi bambini perché noi le bambine non le picchiamo!”. Con i più piccoli io parto sempre da una specie di brain-storming: riportiamo sulla lavagna o su un grande blocco le parole che vengono evocate nel momento in cui scriviamo la parola "violenza”. Dopodiché raccogliamo le associazioni che vengono proposte, dividendo tra "sentimento” e "azioni”, per esempio rabbia, dolore, oppure vendetta… Poi uso molto acrostici e mesostici. Con l’acrostico, si parte da una parola, per esempio "amore” e poi si prendono le singole lettere che la compongono, a-m-o-r-e; ecco, queste diventano le iniziali di nuove parole. Con il mesostico invece si mette in verticale una parola e poi da ogni singola lettera devono venir fuori delle parole in orizzontale.
Noi usiamo molto le riviste, così loro anziché usare i pastelli, lavorano con la carta stampata: ritagliano, incollano; nel corso di queste attività fanno gruppo, socializzano, si scambiano le idee sui concetti.
Avete un servizio aperto ventiquattr’ore su ventiquattro.
Silvana. Se una donna chiama c’è sempre un’operatrice che risponde al telefono, anche di notte, di domenica, durante le feste, sempre. Questo non lo facciamo mai mancare.
Dopodiché la telefonata viene riportata alle professioniste di cui il Centro è dotato e cioè avvocate, psicologhe, assistenti sociali.
Donna Ceteris nel 2015 ha fatto quasi 1.500 interventi in un anno. Purtroppo non posso dire che queste iniziative abbiano portato alla soluzione del problema o che le donne che hanno seguito ...[continua]
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