Anna Oppizzi è responsabile del Progetto Cassiopea, promosso dalla cooperativa Comin nel quartiere di via Padova, per accompagnare gli adolescenti nella delicata fase del ricongiungimento familiare.

Ci racconti del vostro impegno a fianco delle famiglie che si ricongiungono?
La cooperativa Comin è nata nel 1975 con l’obiettivo di realizzare degli interventi, dei progetti a sostegno delle famiglie dei ragazzi che attraversano dei momenti di fragilità.
Negli anni abbiamo creato delle comunità educative e familiari. L’idea è quella di mettere in relazione famiglie con più risorse con altre che attraversano momenti di fragilità, come può essere appunto un ricongiungimento familiare. Da lì nasce l’impegno di creare una sinergia forte a livello di comunità, coinvolgendo le istituzioni, il privato sociale, ma anche gruppi di cittadini. L’idea portante è che nel territorio ci sia già un po’ la risposta al bisogno, e che quindi, lavorando in rete, si possano attivare delle risorse. Noi abbiamo deciso di lavorare con un target specifico, che sono le famiglie ricongiunte.
L’esperienza del ricongiungimento familiare è sicuramente un momento ricco e bello, e tuttavia mette la famiglia -sia i ragazzi che i genitori- in una situazione di crisi. A volte ci sono dei ricongiungimenti che vanno lisci, altre volte si creano dei nodi che Cassiopea, insieme ad altre realtà, prova un po’ di a dipanare…
Voi lavorate soprattutto con mamme sudamericane. Puoi raccontare?
Parliamo di donne, spesso sole, che arrivano per vari motivi, certo con il desiderio di costruirsi una vita migliore, di sostenere economicamente la famiglia che rimane al paese d’origine, ma a volte anche in seguito a crisi familiari, come la rottura di un matrimonio, che le induce a cambiare vita.
Una volta arrivate qui, diventano lavoratrici migranti, pertanto concentrano la loro vita essenzialmente sulla ricerca di un lavoro; spesso vivono in situazioni veramente faticose e spersonalizzanti. Noi abbiamo raccolto tantissime storie. Queste donne raccontano di lavorare anche dieci-dodici ore al giorno, talvolta all’inizio alloggiano in stanze condivise con altre, ma perché il loro scopo principale è quello di raccogliere soldi da mandare ai figli e alla famiglia allargata. Un po’ si annullano come persone, non creano legami, se non con qualche realtà appartenente alla loro cultura, come chiese o associazioni.
Questi grandi sacrifici sono compensati dalle grossissime aspettative sui figli che rimangono là. Ovviamente l’aspettativa più grossa è portarli qua, un desiderio non facile da realizzare. Negli ultimi anni si sono accelerati i tempi, ma fino a cinque-sei anni fa gli standard, soprattutto abitativi, erano proibitivi, tant’è che più di qualcuno fingeva di abitare in una casa, mentre in realtà la situazione era tutt’altra. Poi spesso le pratiche si bloccavano: iniziavi a fare le carte per portare qui un bambino di cinque o sei anni e, dopo anni di attesa, ti arrivava un adolescente; questo generava altri problemi perché nella memoria del genitore c’era tutt’altra immagine.
Una mamma boliviana ci raccontava di essere andata all’aeroporto a prendere "la sua bambina” per ritrovarsi di fronte una ragazza di 13 anni! Da lì sono nati tutta una serie di nodi che poi abbiamo affrontato assieme…
Ma madri e figli non si vedono per così tanto tempo?
Questo è un grosso problema. Il legame tipico è quello che si stabilisce via telefono o via skype, che però è un rapporto in cui i genitori stessi ammettono di non raccontare le proprie preoccupazioni e fatiche: descrivono la loro vita qui in una maniera quasi romanzata, assolutamente non attinente al reale. Dall’altra parte, i figli creano anche loro una propria narrazione, in base alla quale il papà e la mamma vivono in un posto idilliaco, guadagnano un sacco di soldi ed è tutto bello. I genitori tendono a nascondere che lavoro fanno: ci è capitato di ragazzi che, arrivati qui, hanno scoperto che magari le madri facevano le pulizie oppure erano delle badanti e per loro è stato veramente uno shock perché s’immaginavano facessero tutt’altro. Il fatto che i genitori fossero al servizio di famiglie italiane li ha messi molto in crisi, soprattutto alla luce del fatto che le rimesse mandate dai genitori li aveva abituati a una vita anche relativamente agiata.
Chi c’è passato invita gli altri genitori a non nascondere ai figli che cosa fanno realmente, a spiegare anche che lo stile di vita, una ...[continua]

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