Come interpretare l’ascesa del populismo a cui stiamo assistendo in Europa?
Questi ultimi decenni sono stati caratterizzati dall’emergere di un populismo di destra e di forme di nazionalismo e xenofobia che pensavamo di aver lasciato nel passato. Come si spiega? Io qui vedo due origini. La prima è un’esacerbazione delle disuguaglianze. In un contesto di rapida deindustrializzazione, e di egemonia neoliberista, negli ultimi vent’anni molte persone si sono sentite abbandonate e hanno accumulato risentimento, in particolare verso quei partiti che avevano promesso lavoro e prosperità.
A questo si è aggiunta la crisi del 2008: l’economia è entrata in recessione e, quel che è peggio, i responsabili del tracollo non sono stati puniti. Davanti a un peggioramento delle proprie condizioni di vita e all’impunità dei colpevoli, la rabbia è aumentata.
Questo è un primo aspetto. Il secondo è che la libertà di movimento all’interno dell’Unione europea ha prodotto un abbassamento dei salari, in particolare per i lavoratori meno qualificati. Tony Blair, all’epoca, a mio avviso commise un grave errore nel sottovalutare l’arrivo incontrollato di lavoratori, in particolare dall’Europa centrale; in alcune aree della Gran Bretagna questo fenomeno è stato percepito come un’invasione. In un contesto in cui tra l’altro c’erano pochissime opportunità per i giovani, si è andata creando una situazione potenzialmente esplosiva.
Per non parlare dell’emigrazione dal Medio Oriente e dal nord Africa; Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen e Libia, cinque regimi al collasso; nessuno è riuscito a controllare i flussi e così ci siamo trovati con questo numero enorme di persone che fuggivano alla volta dell’Europa…
Ora, quando la gente sente di star perdendo terreno, percepisce che il proprio tenore di vita sta peggiorando, facilmente gli immigrati diventano il capro espiatorio di tutti i problemi. E più la popolazione è in uno stato di disagio e manca di risorse, più forte sarà la reazione scatenata, anche con episodi di aperto razzismo. A Londra, che è una città prospera, queste dinamiche sono meno presenti; ci sono poche tensioni razziali e non a caso si è votato prevalentemente per il Remain. Tuttavia altre aree del paese, quelle più povere e deindustrializzate, in modo totalmente irrazionale, hanno votato a favore della Brexit. Quindi, per concludere, possiamo dire che all’origine di questo spostamento a destra ci sono le contraddizioni e il fallimento del neoliberalismo.
Oggi, il problema per la sinistra, per il centro-sinistra, è che vengono percepite in qualche modo come complici delle forze neoliberali. Blair in Gran Bretagna, Renzi in Italia, così come i socialisti in Grecia e altrove, quando è arrivata la crisi, non hanno capito stesse succedendo. Lo stesso Labour party guidato da Ed Miliband, una figura comunque dignitosa, una persona perbene, non è riuscito a vedere cosa stava montando; ha finito con l’allinearsi alle posizioni dei Tory, senza individuare le radici del problema; non è quindi riuscito a rappresentare un’alternativa credibile. Questo ha aperto un’opportunità per Corbyn: lui e il suo gruppo sono stati visti come una componente non "contaminata”, non coinvolta negli errori del passato.
È questa la ragione del successo di Corbyn?
Nell’autunno del 2018 è uscito un bel pezzo sulla London Review of Books, scritto da Lorna Finlayson, che si interrogava appunto sulle ragioni del successo di Corbyn. Un’analisi con cui concordo totalmente. Il programma di Corbyn -sostiene Finlayson- in fondo non ha nulla di straordinario o di particolarmente radicale, parla di ridistribuzione e di aiuti per i lavoratori, ma non persegue certo una linea estremista. Corbyn, in pratica, se non come orientamento ideologico, è un socialdemocratico moderato. Non vuole abolire il capitalismo. Il suo manifesto, alla fine, è più conservatore di quello redatto nel ...[continua]
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