Un approccio realistico alla scuola quale elemento deve prendere in considerazione?
Per fare qualsiasi cosa occorre avere una rappresentazione attendibile e condivisa della realtà. Il problema educativo riguarda un rapporto complesso tra famiglie, giovani e insegnanti, bisogna che questi tre attori condividano, per quanto imprecisa, la stessa rappresentazione dei problemi: la condivisione è il punto di partenza per poter correggere insieme gli errori. Le rappresentazioni della scuola italiana, invece, sono almeno tre e sono sempre più estranee e distanti l’una dall’altra: c’è quella dei mass-media, che pretendono di rappresentare l’opinione pubblica e che, quando non fanno puro scandalismo, si riferiscono a modelli educativi risalenti all’infanzia lontanissima degli editorialisti; c’è la rappresentazione propria dei responsabili della scuola, che assumono una difesa d’ufficio, talora stanca, talora ottimistica, comunque irreale e mai sufficientemente suffragata da dati e informazioni estesi e precisi. Poi, c’è la rappresentazione che ne danno gli operatori sul campo, che è a sua volta oscillante tra frustrazione, senso di abbandono e impotenza, da un lato, e, dall’altro, da difese d’ufficio interessate: trionfalistica quando si tratta di esaltare il proprio ruolo, distruttiva e piagnona quando si tratta di analizzare risultati non proprio brillanti che sono sistematicamente addebitati alle mancanze dell’amministrazione statale, delle amministrazioni locali, delle famiglie ecc.
Infine, ci sono le "voci che corrono nell’ombra", ossia i sentimenti di insegnanti, genitori e studenti che sentono che le cose non vanno, che guardano ai bei ragionamenti, alle belle rappresentazioni, alle dichiarazioni ufficiali, alle realtà esemplari, come rappresentazioni false e bugiarde, viziate dall’irrealtà. I sentimenti non bastano a costruire una rappresentazione, ma sono autentici, e qualsiasi rappresentazione che non sappia fare i conti con i sentimenti diffusi, non potrà essere attendibile; nessuna soluzione che non sia basata sulla condivisione potrà essere efficace o vincente. Qualsiasi demagogo, qualsiasi opinion maker, qualsiasi consorteria di potere, potrà far leva sui sentimenti diffusi e inespressi per affossare la migliore delle riforme.
Da parecchio tempo cerco di dire che la scuola, prima che essere istituzione sociale e statuale, è parte di una funzione umana fondamentale quale quella di accogliere le nuove gerazioni: è troppo importante perché se ne occupino solo gli specialisti, è troppo importante perché qualsiasi persona sia autorizzata ad occuparsene in modo dilettantesco.
L’esistenza di rappresentazioni divergenti porta alla paralisi e alla indeterminatezza attuale. Qualsiasi iniziativa viene letta da ciascun attore a modo proprio: esami di settembre sì o no: gli uni vedono un ulteriore degrado rispetto al modello scolastico dei nonni; gli insegnanti vedono carte da riempire, oneri aggiuntivi, perdita di potere rispetto agli studenti; i grandi dirigenti vedono una nuova occasione di autocelebrazione dell’apparato. Lo stesso accade con "pagella secca o pagella complessa", esame di maturità "con o senza gli esterni".
Il fatto è che la scuola si trova a svolgere compiti e funzioni completamente diversi da quelli originari: i modelli di riferimento a cui tutti, in un modo o nell’altro, si riferiscono sono incapaci di cogliere una realtà molto più complessa rispetto a quella dell’insegnante seduto di fronte all’alunno, per cui uno insegna e l’altro apprende. Credo fermamente che l’unico modo di ricostruire una rappresentazione condivisa sia quello di dare visibilità e ascolto alla voce dei sentimenti dei protagonisti. Il lavoro che ho svolto negli ultimi due anni è stato di questo tipo, per cui ho potuto constatare quanto sia relativamente facile ridare entusiasmo e voglia di impegnarsi anche a persone che vivono e operano in realtà difficili.
Il nuovo governo sotto questo aspetto non ha ancora offerto nulla di innovativo; anzi, le prime dichiarazioni si muovono tutte nell’ambito di cambiamenti marginali che hanno più il significato di alludere a una trasformazione che non al compierla, più quello di rispondere a un’opinione pubblica sprovveduta che non alla necessità di r ...[continua]
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