Adriano Cardogna è presidente della cooperativa agricola “La Macchia”di Ancona.

Ci puoi raccontare com’è nata l’idea di costituire la vostra cooperativa?
La cooperativa è nata in seguito all’esperienza di un gruppo di giovani, che, alla fine degli anni Settanta, si sono trovati a vivere per alcuni mesi all’anno l’attività di guardie forestali sul Monte Conero. C’è stato un primo momento d’incontro tra storie e culture diverse, ossia fra persone che avevano alle spalle le lotte della contestazione e altre che invece svolgevano da anni quel lavoro. Abbiamo operato per due-tre anni come stagionali. Poi, all’inizio degli anni Ottanta, si è cominciato a parlare d’istituire il Parco del Conero. Di fronte a una prospettiva concreta, tutti quelli che erano stagionali decisero di formare una cooperativa. Iniziammo in 17: c’erano gli abitanti dei paesi intorno al Conero (Sirolo e Numana), magari ex-cavatori, gente anche di una certa età, e ragazzi che avevano invece “scoperto’’ quell’attività. Cominciammo un lavoro di promozione, diretto agli enti locali, per far conoscere la nostra realtà. Bisogna considerare che allora, di cooperative di quel tipo, ce n’erano ben poche, anzi nella nostra zona non ce n’erano proprio. In breve tempo, il numero degli occupati è passato a 35. Come accennavo prima, ci fu un incontro fra generazioni e mentalità assai diverse. All’inizio, non fu facile tenere insieme il padre di famiglia di mezza età con il giovane che aveva problemi di tossicodipendenza. La cosa che ci tenne uniti fu la consapevolezza che avevamo avviato un’attività economica a tutti gli effetti e che era necessario cooperare per consolidarla. Superata la prima fase di avviamento, abbiamo cercato di entrare dentro i problemi, studiando le leggi regionali e approfondendo le tematiche relative alla montagna, alla sua salvaguardia. Quindi, piano piano, siamo usciti dall’ambito prettamente anconetano. Alla base di questo allargamento c’era la convinzione che questo era un settore che poteva produrre occupazione .
Siamo entrati in contatto con piccole cooperative di montagna, isolate fra loro, senza legami economici e ignorate dagli enti preposti. Il fatto che ci fossero realtà che continuavano a vivere e a lavorare in montagna ci sembrò un valore e nello stesso tempo ci apparvero vuoti e ipocriti tutti i discorsi che si andavano facendo sulla necessità di non spopolare le zone montane, visto che in pratica nulla si faceva per aiutare chi decideva, nonostante tutto, di restare. Capimmo allora che potevamo essere il trait-d’union tra quelle realtà, facendo leva su un’esperienza politica che ci permetteva di essere dei buoni organizzatori. In questa fase, quindi, la nostra cooperativa, da una parte, ha fatto da collante tra le varie cooperative montane e, dall’altra, ha cercato d’impedirne il proliferare, perché un loro sviluppo incontrollato poteva esporle a cocenti delusioni. Basti pensare alla legge 285 che stanziava soldi per la formazione di cooperative giovanili, le quali una volta finiti i venti, trenta milioni erogati dall’ente locale, si spegnevano, con le conseguenze negative in termini di dispersione di energie e di spreco economico. Tra l’altro, queste situazioni portavano discredito al movimento cooperativo perché nell’opinione pubblica era facile identificarlo con lo sperpero delle risorse pubbliche.
La Cooperativa “La Macchia” è diventata regionale e, nel giro di dodici anni, è riuscita ad occupare stabilmente dalle 100 alle 112 persone. In particolare, nel periodo tra il 1989 e il 1993, ha creato un indotto che occupa in media circa 500 persone. Il nostro fine non era solo quello di far crescere la nostra cooperativa, ma anche di far sviluppare tutto il settore. C’era chi al nostro interno frenava, dicendo di mantenere le posizioni guadagnate, ma noi eravamo consapevoli che o si dava impulso a tutta la realtà delle cooperative agricole oppure anche noi saremmo gradualmente scomparsi o ci saremmo ridimensionati.
Questo è un settore in cui un posto di lavoro si ottiene con 35 milioni d’investimento all’anno, nell’industria credo ce ne vogliano molti di più. Quando noi andavamo in giro per gli enti, dicevamo che non volevamo soldi per la nostra occupazione, chiedevamo solo che venissero spesi bene per creare un meccanismo virtuoso, in cui crescita occupazionale, difesa dell’ambiente e potenziamento dell’industria turistica fossero un tutt’uno. Oggi, si sta affermando la coscienza che la cura dell’ambiente por ...[continua]

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