Ould Ali El Hadi, 32 anni, che di Lounès Matoub era amico personale, è segretario nazionale della gioventù Rcd (Raggruppamento per la cultura e la democrazia) e coordinatore del Movimento culturale berbero. In uno dei prossimi numeri di Una Città pubblicheremo una seconda intervista sulla storia del movimento culturale berbero e sulla questione identitaria in Cabilia.

Puoi raccontarci del giorno del funerale?
Matoub è stato sepolto la domenica, il sabato dovevamo portare il corpo a casa. Ma non è stato facile. Abbiamo fatto fatica a riaverlo dalla camera mortuaria. I giovani volevano prenderlo per manifestare con il suo corpo. La camera mortuaria era stata completamente devastata dai cittadini, praticamente restava intatto solo il posto dove si trovava Lounès. E’ stato necessario l’intervento dei suoi amici e di sua sorella per convincerli che il modo migliore per rendergli omaggio era quello di proteggere il suo corpo alla camera ardente, perché bisognava seppellire un uomo, non un cadavere in pessime condizioni. Ma non è stato facile convincerli.
E anche il giorno dopo, quando siamo andati a prenderlo, c’è stata una prova di forza, una prova difficile, perché era palpabile la rabbia di tantissimi giovani che rifiutavano di vedere trasportare il corpo per seppellirlo definitivamente.
Alcuni hanno anche chiesto di poterlo esporre in una grande struttura sportiva perché tutti potessero rendergli un ultimo omaggio. Era un’insistenza importante da parte della popolazione, ma il corpo era ormai in uno stato tale che era impossibile tenerlo una giornata di più.
La gente aveva cominciato ad avviarsi verso il paese di Matoub già dalla sera che precedeva il giorno del funerale. Dalle 5, 6, 7 di sera fino al giorno dopo è stato un fluire ininterrotto di gente: tantissimi sono partiti la notte, a piedi, per avere, il giorno dopo, un posto da dove assistere alla sepoltura. Il dottor Sadi (leader dell’Rcd, Raggruppamento per la cultura e la democrazia, ndr) mi aveva chiesto di andare a Tizi-Ouzou a prendere la delegazione dell’Anr (Alliance Nationale Républicaine, ndr) un altro partito democratico algerino, guidato da Reda Malek, l’ex-primo ministro dei tempi di Boudiaf nel 1994.

Ebbene, sapendo che avrei avuto problemi a tornare per l’ora del funerale, sono partito alle 8 del mattino, ho caricato la delegazione e mi sono avviato verso il paese, ma non c’è stato nulla da fare. Abbiamo dovuto fare almeno una decina di chilometri a piedi e solo perché era una delegazione ufficiale ci hanno lasciato passare per raggiungere le altre personalità presenti fra cui Khalida Messaoudi, il dottor Sadi, tutta la direzione dell’Rcd, i responsabili del mondo delle associazioni.
Le autorità ufficiali non erano presenti?
Delle autorità ufficiali non era presente nessuno, nessuno ha osato andare perché si sono resi conto della gravità del silenzio ostentato per giorni senza reagire. E quando il primo ministro ha avuto una reazione è stato peggio perché ha detto: "Lounès Matoub è stato assassinato lo stesso giorno in cui sono stati uccisi altri dieci cittadini". Quindi ha banalizzato l’assassinio. E’ vero che quei cittadini erano stati assassinati e si doveva rendere loro omaggio, ma l’uccisione di Matoub era tuttavia un evento eccezionalmente importante.
Sono arrivate le condoglianze da tante Ong, da tante associazioni internazionali, da tante personalità fra cui il presidente francese Jacques Chirac che ha interrotto un suo discorso, credo in Namibia, per rendere omaggio al cantante assassinato. Ma questo fa risaltare ancor più il silenzio delle nostre autorità; è stato veramente un silenzio sprezzante: né il capo dello stato, né il primo ministro, né i ministri dell’attuale governo hanno presentato anche solo le condoglianze alla famiglia. Non solo, nessuno dei messaggi arrivati dall’estero è giunto alla famiglia, li hanno bloccati.
Parlaci ancora del giorno del funerale...
Centinaia di migliaia di auto, donne, uomini, giovani. La gente piangeva, gridava, è stato veramente un delirio, qualcosa difficile da controllare. La gente ha fatto chilometri e chilometri a piedi. C’erano file chilometriche di auto nei pressi del suo paese, della sua casa. In una scuola c’era una squadra di medici, una della protezione civile, una di personale paramedico che per due giorni non ha mai smesso di soccorrere ragazze, giovani, vecchi. Noi avevamo paura che al funerale succedesse qualcosa, ci aspettavamo il peggio con una tale ...[continua]

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