Silvio Bernar lavora in una biblioteca di Milano.

Come ho vissuto il passaggio dalle stelle alle stalle? Non so bene, devo dire che mi sembra di essere in equilibrio solo da 5-6 anni. Devo aver passato tutta la vita da squilibrato. Perché quando sali e scendi comunque non sei mai in equilibrio.
Non ho una casa, Antonia, Gugo, nonna Pina e io viviamo pur sempre in 75 mq, che non è proprio il massimo, anche se abbiamo un bellissimo terrazzo di 25 mq e siamo a 200 metri dal parco Lambro, unico parco decente di Milano. Viviamo in un condominio con 154 famiglie, uno di quei complessi anni ‘70, costruito sapendo della metropolitana, quindi con tutta la speculazione. E in tutto il palazzo, sei scale, noi abbiamo rapporti con una famiglia, una sola. Mettici anche che noi siamo molto particolari, per cui non è che ci vedano proprio bene…
Sì, siamo diversi, e ti assicuro che conta: noi abbiamo degli amici che quando invitano noi, invitano sempre solo noi, non so se mi spiego. Sono amici nostri, ma con noi. Perché siamo imbarazzanti, evidentemente. Non è soltanto la differenza d’età, che già di per sé conta, perché se io fossi quello di allora, uno dalle centinaia di milioni all’anno, la gente accetterebbe, perché il vecchio porco che si fa la ragazzina rientra; ma un barbone senza una lira con una ragazzina non c’entra, c’è qualcosa che non funziona, la gente non riesce più a inquadrarti in uno schema. Aggiungi che non abbiamo la macchina, per cui non si può organizzare un fine settimana...
E poi il fatto che Antonia ha partorito in casa, beh, questa cosa nel suo ambiente familiare ha provocato uno scompiglio di gran lunga superiore al fatto che stiamo assieme. La gente sgranava gli occhi, ci chiedevano se eravamo matti… Invece si sa che i parti al 98% possono essere fatti in casa, ci sono statistiche olandesi, dove questa pratica è più diffusa, che dicono che è molto sicuro. C’è anche una ricerca della Regione Piemonte che lo conferma. Antonia aveva anche fatto la tesi di laurea sul parto in casa, contestata violentemente. Cos’altro dire? Che la regione Lombardia non rimborsa il parto in casa nemmeno parzialmente; noi gli facciamo risparmiare i soldi dell’ospedale e loro neanche una lira ci danno. Ma già, qui abbiamo Formigoni… Insomma, siamo strani…
Comunque ho impiegato 45 anni a capire che ogni scelta provoca una rinuncia; ho impiegato per fortuna un po’ meno tempo per scoprire che qualche rinuncia, a volte, permette una scelta.

Mio padre era assicuratore. Quando mia madre è morta sono rimasto un po’ con mio padre a Verona, poi sono stato messo in un orfanotrofio a Vicenza, sono scappato, l’ho raggiunto a Mantova, poi Brescia, poi Busto Arsizio, poi Milano. A 13 anni avevo già cambiato 5 città… In realtà io non ho mai avuto una casa. Alla fine della fiera quello che ha contato, anche dopo, è che non avevo mai avuto una casa. Pure i miei studi sono stati molto irregolari, nel senso che ho frequentato il ginnasio, poi ho lasciato e ho fatto ragioneria. Il mio primo vero lavoro è stato la vendita porta a porta di enciclopedie. L’ho fatto per qualche mese. Poi ho risposto a un annuncio sul giornale e sono andato a lavorare in un’azienda del gruppo tessile Montero, che aveva una sede qui a Milano, in via Fatebenefratelli. Ho lavorato lì 4-5 anni, poi l’azienda è stata spostata a Como; io allora ho cercato un altro lavoro. Nel frattempo mi ero sposato e avevo avuto una figlia.
Ho trovato lavoro in un Buying-office. I Buying-office sono degli uffici commerciali che seguono i grandi gruppi di distribuzione stranieri che comprano in Italia. Hanno bisogno di qualcuno che controlli le spedizioni, che trovi nuovi fornitori, che segua il mercato. Direi che ho iniziato lì a occuparmi di marketing in maniera sistematica. Poi è arrivato il ’68; io sono nella lista di quelli che hanno occupato la Triennale, anche se in realtà eravamo lì a bere aperitivi e raccontarcela, non è stata molto mitica. Nel frattempo ero diventato capo ufficio. Mi sono iscritto al sindacato e sono diventato delegato di fabbrica. E l’ho fatto per tre anni, in quell’ufficio, con un po’ di schizofrenia, un po’ capo ufficio, un po’ sindacalista. Nel ‘73 c’è stata una grossa lotta e il sindacato è stato una grossa delusione, era diventato un altro gruppo di potere, estremamente burocratizzato e quindi ho deciso che tanto valeva farmi la mia carriera. E allora sono passato alla Candy, come capo area, prima junior, poi senior e lì ho cono ...[continua]

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