Ephraim Kleiman è professore Emerito di Economia presso l’Università ebraica di Gerusalemme. E’ stato consulente economico per il governo israeliano durante i negoziati con l’Olp del 1993-94 a Parigi. L’intervista si è svolta nel mese di febbraio.

Come vedi la situazione attuale? C’è ancora speranza per il processo di pace?
La questione principale, e non solo di oggi, è se la concessione massima che Israele può fare ai palestinesi soddisferà il minimo che i palestinesi sono disposti ad accettare. Questa è la questione fondamentale. Così come quando dico il “massimo” intendo sul piano oggettivo, ma anche rispetto a ciò che qualsiasi governo potrebbe accettare in base alla situazione e alla politica interna. E quando dico il “minimo” dal punto di vista palestinese, intendo di nuovo sul piano oggettivo, il minimo necessario per costruire una società, uno stato, ma anche dal punto di vista della politica interna. E al momento sembra che le due cose non si incontrino, non coincidano, e questo è un problema grave.
Perché significa che non avremo un accordo nel futuro prossimo, diversamente da quanto pensavamo fino a poco tempo fa. E questo significa che ci saranno degli sviluppi, perché la situazione attuale non è stabile; ci saranno degli sviluppi sia all’interno, che all’esterno, in entrambe le società, penso soprattutto in quella palestinese. E non sappiamo se questo aumenterà o ridurrà la distanza tra quel “massimo” e quel “minimo”.
Qual è stato il motivo per cui non si è arrivati all’accordo?
Al momento la maggiore difficoltà non è Gerusalemme. Sul versante pratico Gerusalemme sarà una questione difficile da risolvere, ma in linea di principio può essere risolta. Invece il punto è il diritto al ritorno dei profughi del 1948. Ecco, dal punto di vista di Israele è questa -e io penso giustamente- la “linea rossa”, che non può essere oltrepassata, perché accettare i profughi del ’48 significa la fine dello stato ebraico d’Israele, dell’idea dello stato degli ebrei. Questa rivendicazione palestinese, fra l’altro, contrasta con tutte le possibili soluzioni fin qui prese in considerazione dai palestinesi che vedevano sempre “due stati per due nazioni” e non uno stato bi-nazionale.
Puoi spiegare?
Esistono tre tendenze e atteggiamenti rispetto alla soluzione del conflitto. La prima, che era condivisa dal movimento nazionalista palestinese, l’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) fino al 1988, e che oggi è l’obiettivo di Hamas e dei gruppi islamici, prevede la cacciata degli ebrei dalla Palestina e la creazione di uno stato per la propria gente, che è un caso estremo, e, se si vuole, speculare alle posizioni dell’ala estrema della destra israeliana nazionalista (anche se credo che questa tendenza in Israele sia comunque più debole di quanto lo sia quella rappresentata da Hamas nella società palestinese). Poi emersero altre due attitudini: una promuoveva l’ipotesi di uno stato bi-nazionale, ossia due nazioni nello stesso stato. L’altra diceva: dividiamoci. Questa era l’idea dei palestinesi inglesi, un’ipotesi avanzata inizialmente nel 1937, dalla British Royal Commission, che produsse uno dei migliori documenti sulla situazione e i problemi correlati, valido ancora oggi; e diceva appunto: no, dobbiamo separarci, perché questi due popoli non vivranno mai come un’unica società. Questa fu accettata dall’Olp, nel 1988, come la soluzione.
Ebbene, tutto questo non va assieme col diritto al ritorno; il diritto al ritorno infatti significa non solo lo Stato palestinese nei territori palestinesi, West Bank e Gaza, ma anche che Israele diventerà rapidamente Stato palestinese. Noi abbiamo una minoranza palestinese che costituisce il 20% della popolazione araba, l’arrivo di un altro milione o più di profughi palestinesi comporterebbe la fine di Israele come stato ebraico. Per cui questo è qualcosa che veramente Israele non può accettare.
Che dei profughi non possano ritornare è terribile, ma è già capitato altre volte…
E’ vero. Nel 1947, un anno prima della nascita di Israele, la separazione tra India e Pakistan aveva creato un problema di profughi nell’ordine dei milioni. Certo, anche una tragedia enorme, un massacro tremendo. Ma io sto parlando dei sopravvissuti: chi muore non può tornare, per cui è una tragedia enorme, ma sul lungo termine questo non costituisce un problema, so di dire una cosa orribile, ma è la verità, bisogna essere realisti. Quindi nel ‘47 ci fu questo grande probl ...[continua]

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