Gianni Vattimo insegna Filosofia Teoretica all’Università di Torino; editorialista della "Stampa", recentemente è stato eletto al Parlamento europeo. Tra le sue opere: Il soggetto e la maschera (1974), Le avventure della differenza (1980), Al di là del soggetto (1981), La fine della modernità (1985), La società trasparente (1989), Etica dell’interpretazione (1994), Credere di credere (1996), Tecnica ed esistenza (1997).

La sinistra sembra smarrita, uno smarrimento profondo che viene da più lontano delle sconfitte elettorali subìte e di quelle che si prevedono. Cos’è che non va?
La mia impressione è che in passato la sinistra avesse fatto più lavoro di organizzazione del tessuto sociale, di costruzione di una specie di consenso, se vogliamo un lavoro di egemonia in senso gramsciano.
In questi ultimi anni abbiamo assistito alla crescita in Italia di banche etiche, di gruppi di autoaiuto di quartiere dove le signore si scambiano i bambini per tenerli, di esperienze come il vostro giornale, che sono testimonianze, non direi di una vita di comunità, perché la parola evoca subito cose troppo organicistiche, però, certamente, di un’azione di base con gente che si organizza. Ebbene, questo è, e dovrebbe essere, il tessuto della sinistra.
Ho l’impressione che da quando siamo andati al governo si sia prestata meno attenzione a tutto questo.
Comincio a domandarmi se la sinistra non abbia governato di più quando era all’opposizione che non adesso che è al governo; il consociativismo, se vogliamo, era una cosa che pesava. Io non ho mai capito la smania di opposizione di Rifondazione Comunista, ma adesso, vedendo i compromessi a cui siamo costretti per non perdere il governo, mi domando fino a dove arriveremo. E poi, comunque, se questi compromessi ci servissero per aumentare il consenso elettorale avrebbero almeno dalla loro il valore pragmatico, ma per adesso non sembra, perché, anche se i Ds non hanno perso, (in realtà nelle ultime elezioni sono andati meglio), è indubbio che la coalizione ha meno chances di quante ne avesse tre anni fa.
D’altra parte, anche la vittoria elettorale del ’96 non aveva corrisposto a un cambio, a uno spostamento di voti drammatico da destra verso sinistra, anzi. Questo è un problema da tener presente: come si fa a governare da sinistra in un paese dove purtroppo l’opinione pubblica non è mai stata tanto di sinistra, in un paese con un forte radicamento cattolico, che paradossalmente in questo momento diventa cattolico-conservatore, e non cristiano? Che poi adesso Berlusconi, tutti questi divorziati, questi sederi al vento come Casini, ci vengano a dare lezione di cattolicesimo politico fa ridere, però è così. In un paese in cui i cristiani sono per lo più i gruppi di base che protestano contro la guerra, e i cattolici politici ufficiali sono questo bell’insieme di Forza Italia e dei suoi alleati, dove la chiesa ha ancora tanto radicamento di tipo politico più che religioso, come si fa a governare da sinistra?
Questa è la domanda che ci facciamo quando parliamo di programmi, di vincere le elezioni, di convincere, di persuadere. Si può certo dire che per governare devi adattarti a diventare maggioranza, e che se non ce la fai da solo devi metterti d’accordo con qualcuno. Io mi metto anche in questo stato d’animo (e questo mi distingue da Bertinotti), ma mi domando fino a che punto, e come si possa fare un accordo che funzioni per farci diventare o restare maggioranza. Perché se invece, andando di qua e di là, mi sputtano definitivamente, alla fino ho perso la fisionomia e anche la maggioranza. Tra le due, come si dice in buon italiano, tanto vale salvare la faccia, visto che il resto del corpo, e in particolare la parte presa a ombrellate, è andato da un’altra parte.

Io sono politicamente giovane, nel senso che non ho mai fatto tanta politica, se non quando da piccolo andavo ad attaccare i manifesti della Dc con il Comitato civico, e poi, prima di entrare in età di voto, nel ’53 portavo le vecchine a votare con le auto della Fiat. Appena ho cominciato a votare non ho mai votato per la Dc, perché nel frattempo mi ero fatto furbo. Poi ho fatto un po’ di politica quando il partito radicale mi candidò per il "Fuori", e senza dirmelo. (Fu uno dei primi casi di outing che, devo dire, mi creò qualche imbarazzo. Ma mia madre fingeva di non leggere i giornali...). Poi ho cominciato a scrivere su La Stampa delle lettere contro chi ce l’aveva con i gay, poi su Tutto libri e infine ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!