Maria Uranio, 49 anni, operaia metalmeccanica, era dipendente della multinazionale spagnola Ficomirrors ed attualmente si trova in cassa integrazione. Vive con la famiglia a Venaria, alle porte di Torino.

La mia famiglia è napoletana, ci siamo trasferiti a Torino quando io avevo dodici anni. A quattordici ho cominciato a lavorare, non ho studiato perché non c’erano le possibilità, ma mi sarebbe piaciuto. Poi ho incontrato un ragazzo e a diciotto anni mi sono sposata, ho avuto subito una figlia, ma dopo sette anni ci siamo separati, avevamo due mentalità completamente diverse: io del sud e lui del nord, di un paesino piemontese, freddo; di questo ho patito proprio tanto. Però abbiamo una bella figlia che ora ha 29 anni e si è sposata due anni fa; ci vediamo poco, perché lei è sempre via per lavoro, ha un’impresa privata di ambulanze. Il nostro rapporto comunque è sempre stato buono, anche se dopo la separazione lei è rimasta con la nonna paterna, che me l’aveva cresciuta fino ad allora, io infatti andando a lavorare non potevo curarla. Non ho mai abbandonato il lavoro, neppure per le figlie, ho sempre voluto essere una donna indipendente, non sono mai stata sottomessa, non mi sarebbe piaciuto dover chiedere dei soldi a mio marito; con questo primo marito semmai succedeva il contrario, nel senso che io dovevo mantenere la famiglia e lui si conservava tutto; è stato uno dei motivi della separazione. Quando me ne sono andata non ho voluto niente, ho lasciato tutto quanto a mia figlia. Lei stava molto bene con la nonna e io ho potuto vederla sempre, perché con mia suocera vado d’accordo, è venuta anche al mio matrimonio con Saro e al battesimo di nostra figlia Daniela; ancora adesso che ha 82 anni ogni tanto viene a trovarmi, è molto aperta, è persino venuta in ospedale quando ho avuto Daniela.

Ricordo perfettamente la mia infanzia a Napoli, è stato un bel periodo: mio padre lavorava all’Alfa Romeo, poi è arrivata la fase dei licenziamenti, allora le sue due sorelle che stavano a Torino gli hanno consigliato di trasferirsi su per vedere di farsi assumere in Fiat. Era il 1970. Noi eravamo tutti ragazzi, il più grande studiava, doveva fare l’ultimo anno di perito industriale ed è rimasto giù; noi altri invece siamo venuti a Torino e chi aveva l’età ha iniziato a lavorare. A Napoli finché non è capitato il licenziamento eravamo una famiglia normale, certo, con degli alti e bassi perché c’era un solo stipendio e noi siamo cinque figli, due maschi e tre femmine, la più piccola con dieci anni meno di me. Arrivare a Torino è stato un trauma, era il mese di luglio e c’era la nebbia. Poi poco a poco mi sono abituata, quando ho fatto i 14 anni i vicini hanno consigliato a mia madre di non lasciarmi in casa a far niente, ché lì vicino c’era un biscottificio e se avessi lavorato mi sarei inserita più facilmente, anche perché ci lavoravano parecchie ragazzine della mia età. A quell’epoca non avevo ambizioni particolari, non pensavo molto al futuro; a Napoli non è come qui, le donne sono tutte figli e famiglia; a Torino invece era tutto diverso e l’idea di poter rendermi indipendente e contare direttamente sulle mie forze ha finito col piacermi, e poi i datori di lavoro erano brave persone, stavo bene, l’ambiente era sereno, uscivo con le altre ragazze, andavo a ballare. Due mesi prima di sposarmi però mi sono licenziata, era il mese di luglio; a ottobre comunque avevo già trovato un nuovo lavoro alla Gilardini-Savara, che era del gruppo Fiat, facevamo i filtri per l’aria e l’olio.

Saro l’ho conosciuto due anni dopo la separazione dal primo marito; ci siamo incontrati in ospedale, io avevo problemi di prolattina e lui d’ipertensione, non sapeva ancora che era la nefrite. Ci siamo messi insieme dopo circa un anno, io lavoravo ancora a Sant’Antonino Susa e allora ho chiesto il trasferimento a Venaria per avvicinarmi a lui e alla casa che avevamo messo su insieme, così sono arrivata alla Cromodora, che poi è diventata Stars, Politecna, Magneti Marelli e quindi Fiat. La Cromodora faceva paraurti e marmitte per le auto. Certo, alla Gilardini era un lavoro più da donne, i filtri sono oggetti molto più piccoli, è meno faticoso, ma io ho lavorato spesso con uomini e mi sono sempre trovata bene, ti aiutano nei lavori più pesanti, c’è meno rivalità. Alla Gilardini all’inizio eravamo 2000 dipendenti, poi poco a poco, un po’ di cassa, un po’ di mobilità, ci eravamo ridotti a 400. Comunque l’ambiente era buono, come anc ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!