Iniziai per caso: appena finita la specializzazione in pediatria, agli inizi degli anni Settanta, andai a lavorare in un ospedale molto piccolo, a Salem, una cittadina nei dintorni di Boston; eravamo solo due medici fissi, io e il mio capo, e siccome lui si occupava anche di maltrattamenti ai bambini, cominciai ad interessarmene anch’io e mi ci appassionai. Ci fu poi un episodio cruciale: mi chiamarono in pronto soccorso per un bambino di quattro mesi che era in fin di vita per delle ferite all’addome. Tentammo di rianimarlo ma fu tutto inutile, il bambino morì. Venimmo poi a sapere che a ridurlo così era stata la madre con dei pugni. Era una ragazza madre molto giovane, la sua famiglia l’aveva esclusa completamente. Lei viveva in un appartamentino sopra quello dei genitori. Così, in un momento in cui loro erano assenti, lei era sgattaiolata di sotto col bambino, così, per sentire un po’ il calore della sua vecchia casa. Ma quando il bambino aveva cominciato a piangere lei, per la paura di essere scoperta aveva perso il controllo e aveva cominciato a picchiarlo fino a ridurlo in fin di vita. L’episodio mi colpì molto profondamente, anche perché quel bambino aveva, all’epoca, la stessa età di mio figlio. Quando poi si trattò di comunicare alla madre il decesso del figlio, il mio capo mandò me. E io, che durante tutto il tempo della rianimazione l’avevo vista e immaginata come un mostro -come poteva una donna aver fatto questo a suo figlio?- mi trovai davanti a una ragazzina di diciassette anni disperata, che avrebbe dato la vita pur di riavere indietro il suo bambino. E io stessa avrei fatto di tutto, se avessi potuto, per cercare di toglierle quel peso, per ridarle il suo bambino. Fu lì che capii, sia dal punto di vista del bambino che da quello della madre, in che cosa consiste la tragedia del maltrattamento.
Ci sono vari tipi di maltrattamento, c’è quello fisico, c’è l’abuso sessuale, la trascuratezza, il maltrattamento emozionale o psicologico. All’interno della trascuratezza, poi, ci sono le varie categorie: c’è la trascuratezza fisica, quella emozionale, la trascuratezza della sorveglianza, dell’educazione, delle cure mediche.
Per abuso fisico intendiamo lesioni non accidentali che si verificano quando il bambino è sotto il controllo del genitore, o del caregiver, lesioni quindi che il genitore avrebbe dovuto far qualcosa affinché non si verificassero, oppure che vengono procurate dal genitore stesso. Volutamente, nella definizione non entra il concetto di intenzionalità, non parliamo di “lesione intenzionale” perché questa è una questione spinosa e sempre difficile da verificare.
Magari un genitore perde il controllo e dà una sberla al figlio, o lo scuote, provocandogli una lesione seria, ebbene, l’intenzione non era quella di fargli del male ma casomai solo di farlo smettere di piangere, oppure anche di fargli del male, ma non di provocargli un danno permanente. Così, per bypassare questa sempre intricata controversia, cerchiamo di non includere il concetto di intenzionalità nella definizione di maltrattamento. Definiamo trascuratezza invece quando il genitore o il caregiver non fanno tutto quanto è necessario per prendersi cura del bambino.
Tutti parlano di un aumento dei casi di abuso fisico sui bambini. In realtà non è vero, il maltrattamento è sempre esistito, solo che ora viene denunciato maggiormente. Addirittura c’è chi dice che a causare questo aumento sia stata l’emancipazione femminile: l’uomo, alla ricerca di un essere più debole da maltrattare, non avendo più la donna, se la prende coi minori. Ma anche questa è una teoria errata. Anzi, è vero il contrario: l’emancipazione della donna ha portato ad un aumento delle denunce, provocato da una maggiore possibilità che ha ora la madre di proteggere il proprio figlio dagli abusi.
Ci sono fattori di rischio ben precisi: la madre giovane e sola, senza il sostegno della famiglia, è molto più a rischio della mamma che ha alle spalle una famiglia che l’aiuta; la madre che è stata maltrattata da piccola è più a rischio della madre che a sua volta ha avuto una buona mamma. Si impara a essere genitori dai propri genitori, e se il proprio genitore è stato buono, si imparerà a ess ...[continua]
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