Rolando Del Guerra, tosco-catalano, è interprete e traduttore di professione e critico alterglobalista del sistema mediatico. Moglie e figlia catalane, vive a Barcellona. Guido Ramellini, milanese, è stato per 14 anni docente nel Liceo Italiano di Madrid. Pensionato, vive ora a Barcellona con moglie (catalana) e due figli, occupandosi di formazione degli insegnanti. Passato libertario, è stato delegato della Cgil Scuola per Madrid e per la Spagna, è corresponsabile del Coordinamento de L’Unione a Barcellona.
Rolando. Negli ultimi decenni siamo passati da una critica anche giusta e necessaria delle ideologie alla negazione del valore delle idee. Pochi centri di potere politico, economico e culturale si arrogano una sorta di esclusiva nella produzione ed interpretazione di concetti ampiamente usati. Fenomeno per altro non nuovo. Credo che sia urgente aprire un dibattito sulle fonti di legittimazione di quanto nella nostra società viene detto e pensato, dato che da questo dipende il diritto alla presenza/esistenza sullo scenario pubblico di una molteplicità di attori che non possono, in una società complessa come la nostra, ridursi a una serie di opinion-leader, uffici stampa di partiti, e multinazionali, religiose comprese, o pubblicisti.
Secondo me è fondamentale un impegno politico dei movimenti sul fronte dell’informazione. Un terreno che coniuga importanza strategica e possibilità di sperimentazione a basso rischio: creare ad esempio uno spazio nel palinsesto di una radio pubblica diretto da una assemblea aperta di associazioni di base è un esperimento sociale che se fallisce non succede nulla di grave. Non è come dire “passiamo alle assemblee locali la decisione su piani regolatori o d’infrastrutture generali” aprendo magari la possibilità alle popolazioni costiere di asfaltare a piacimento spiagge e dune..
Nel caso dei media si tratta di suggerire una tendenza, esplorare potenzialità di creazione collettiva, e al tempo stesso educare la gente ad un modello di partecipazione che comprenda ovviamente elementi di decisione.
Guido. Ci sono modelli che sono contemporaneamente politici, ideologici ed estetici. Sfortunatamente, le esperienze davvero originali, anche dei movimenti, sono, comprensibilmente, molto poche ed effimere, forse perché è il loro destino. Che siano effimere non è così importante: importa quello che riescono a generare. La pubblicità è sempre stata la più attenta al mondo dei movimenti, da cui uscivano i linguaggi, gli slogan recuperati in termini estetici e strutturali. Gli americani hanno sempre avuto chiarissima la possibilità di recupero in termini commerciali.
Non credo che nei partiti della sinistra ci siano paure di delegittimazione, è invece il vecchio nodo dei rapporti partito/movimenti/individuo. Quando il partito vuole essere tutto e finisce per considerarsi l’unico rappresentante legale, immediatamente inibisce ogni creatività e originalità che sono alla base della sua ragione d’essere e quindi immediatamente invecchia, diventa incapace di rigenerarsi e di restare in contatto con i pezzi di società che l’hanno creato. Io credo che poco a poco queste cose si stanno capendo, ma è un cambiamento così grosso, non di pelle, ma di sostanza, che è comunque difficile, soprattutto in un momento in cui da ogni parte (nel sindacato, nei partiti, nei movimenti) si denuncia e si registra il calo della partecipazione insieme al bisogno di essa. La partecipazione non la vedi, anche quando apri degli spazi...
Rolando. Credo che il concetto di partecipazione vada chiarito. La mia esperienza politica come cittadino e lavoratore mi dice che istituzioni e partiti hanno un’idea della partecipazione molto chiara e che si riduce a “consultazione e informazione”: tu informi e chiedi alla gente la sua opinione, però l’ambito di decisione te lo tieni tut ...[continua]
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