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Mantova solidale
Mantova solidale nasce nel 2013 in previsione della fine dell’accoglienza governativa,
quando un gruppo di profughi ha autonomamente chiesto, con una lettera alla Prefet-
tura e alla Provincia di Mantova, di autogestire i fondi residui messi a disposizione dal
Governo: volevano vivere in case private, farsi la spesa e cucinare per se stessi, smetten-
do di continuare a vivere passivamente nell’albergo nel quale si trovavano dal momen-
to del loro arrivo. Così, un gruppo di persone -insegnanti, medici, cittadini sensibili al
problema delle migrazioni e del diritto d’asilo- che aveva a vario titolo collaborato con il
Centro di educazione interculturale della Provincia nella fase di accoglienza dei rifugiati
costretti a partire dalla Libia, nel momento del loro ‘congedo’ ha deciso di continuare ad
avere con loro un rapporto di sostegno e di reciproca conoscenza, aiutandoli a inserir-
si nel territorio mantovano, quando non volevano cercare fortuna altrove. Con l’aiuto
dell’assessorato alle politiche sociali della Provincia - che con i rifugiati aveva avuto e
continua ad avere un rapporto stretto e molto propositivo -, della Curia, della Caritas,
della Croce Rossa, di varie associazioni e di singoli cittadini, molti dei rifugiati arrivati
nel 2011 si sono inseriti nel tessuto sociale e culturale della città, dando vita, tra le altre
cose, a un gruppo musicale, I Tamburi di Mantova, che sta facendo conoscere la musica
e la cultura africana negli ambienti più diversi.
L’esperienza della gestione condivisa della case dura ancora per coloro che hanno de-
ciso di restare a Mantova e per quelli che, obbligati da procedure burocratiche spesso
kafkiane e sempre mutevoli, devono trascorrervi alcuni mesi all’anno per il rinnovo dei
permessi di soggiorno. Dall’intervista emerge chiaro il turbamento di Yaya e Samuel per
il sistema di accoglienza italiano ed europeo: l’incontro con le commissioni che devono ri-
conoscere il loro status, il rifiuto di rappresentare le proprie vicende secondo canoni che
sarebbero convenienti, ma che non corrispondono al vero, la gestione di alcuni luoghi di
accoglienza, la mistificazione di una fine dell’emergenza che ha decretato troppo spesso
l’abbandono a un destino di saltuari lavori in nero e di attesa, spesso passiva e depressa,
che qualcosa accada. Si prospetta adesso per Yaya la possibilità d un lavoro temporaneo
nell’accoglienza dei rifugiati in transito per il rinnovo dei permessi di soggiorno.
Mentre riguardiamo insieme l’intervista, in una sera di metà febbraio, Samuel è tormen-
tato dal pensiero che suo fratello stia lavorando a Tripoli mentre l’Isis pare avanzare ed
espandersi in Libia; gli telefona, nella capitale le cose sembrano essere ancora abbastan-
za tranquille. Samuel è sollevato ma, mi dice: “La testa di un profugo gira, gira sempre,
di notte e di giorno. Tra luoghi lontani e problemi diversi”. (M. B.)
sulmano non fa del male agli altri; io nella
mia vita non voglio far soffrire nessuno, non
potrei mai fare del male a qualcuno, se fai
del male devi chiedere scusa.
Ma se qualcuno offende la tua religione?
Yaya:
Se sei un musulmano non reagisci con
la violenza, non rubi, non fai del male a nes-
suno. Qualche volta ho litigato con dei miei
amici su questo. Il rispetto è una cosa fonda-
mentale, verso le donne soprattutto, per tut-
ti. La mia famiglia mi ha insegnato così. Nel
mio paese, ad esempio, mi hanno insegnato
che non devi guardare in faccia le persone,
mio papà mi ha insegnato così; lui era una
brava persona, non mi picchiava mai. Mia
mamma sì, perché la facevo arrabbiare, ma
io facevo casino lo stesso con i miei amici in
giro. Poi mio papà mi ha insegnato a prega-
re e sono cambiato, non sono più andato a
fare casino. La mia religione mi ha aiutato
a cambiare tante cose della mia vita, io rin-
grazio Dio che mi ha fatto musulmano. Ma
quando in Francia ho sentito che succedeva-
no quelle cose mi sono buttato sul divano a
piangere: perché qualcuno deve far del male
a degli innocenti? Quando ero in Francia c’è
stata una partita difficile che ha fatto arrab-
biare tutti, poi degli arabi sono andati a far
casino ai mercati: non è così che si fa, io non
sono d’accordo con loro.
Ieri un ragazzo musulmano mi ha detto
che forse è sbagliato quello che hanno
fatto a Parigi, ma che quelli di Charlie
Hebdo bestemmiavano il profeta e que-
Antigone in Puglia
Brenda Porster
Scagliate eravamo
nel buio navigare
senza meta, ma insieme,
lei riempiva esattamente
l’avida culla del mio braccio vuoto
un umido peso caldo il suo bisogno che io
solo
potevo saziare, le vaghe profondità scure
degli occhi, il disperato cercare
manine strette curve a conchiglia, rosee
dita-gamberetti che afferrano
il mio seno, titubanti
labbra e poi il tiro come tenaglia
di vita da me a lei a soddisfare
il nostro mutuo bisogno
l’una all’altra legate, in perfezione,
il cerchio chiuso.
Quando ho visto che lei non c’era
più, il suo piccolo peso
fiaccato, sospeso,
il calore, tutto, esaurito,
il suo cercare finito?
Non aveva più bisogno di me,
mentre io ero rimasta
anelante, il mio braccio un cerchio
vuoto. Un terrore di ghiaccio mi ha affer-
rato
il petto, e all’improvviso ho saputo:
sarebbero arrivati loro,
e l’avrebbero gettata negli infiniti
abissi, sarebbe caduta
giù per non essere trovata più
il suo piccolo corpo a spiegare
braccia fluttuanti di anemone
per sempre cercando per sempre
esposta.
No! Così non sarà! Io,
sua madre, le avrei reso
una calda copertura, sabbia decorosa
e luogo, una collocazione
della mente, per entrambi i nostri bisogni
un’ultima volta, poi le ho detto
finalmente - buona notte
cuore mio, buona notte,
e l’ho lasciata là
Nota: Per aver seppellito la figlia neonata sulla
spiaggia della Puglia, dove era approdata dopo
essere fuggita dal Kossovo, questa madre Rom fu
arrestata dalla polizia italiana e denunciata per
occultamento illecito di cadavere.
(traduzione di Andrea Sirotti)
sta è una cosa che non si può accettare.
Yaya:
Sì, è una cosa sbagliata prendere in
giro. Ma se tu non vuoi che qualcuno offen-
da tuo padre, tu per primo devi rispettare
lui. Se, ad esempio, non voglio che Samuel
dica parolacce contro mia madre o mio pa-
dre, io per primo devo rispettare Samuel. Se
io lo rispetto, lui rispetta me. Grazie a Dio
io e lui, anche se prima non ci conoscevamo,
non abbiamo mai litigato, ridiamo insieme
e andiamo d’accordo. Se io sono musulmano
rispetto lui che è cristiano. Se fossi stato a
Parigi sarei andato alla manifestazione e mi
sono chiesto perché a Mantova non ne ab-
biamo fatta una anche noi. Un mio amico,
che è un po’ matto e forse scherzava, ha det-
to che quelli dell’attentato hanno fatto bene.
Ho deciso che non gli parlo più. Non c’entra
la religione, questo è un business: qualcuno
li ha pagati quelli dell’attentato.
Anche Boko Haram trova gente perché la
paga. Se uno trova gente povera come noi e
gli dice che se fanno un attentato gli danno
un sacco di soldi, una casa, ecco allora può
darsi che uno ci stia. Ma non c’è un motivo
religioso. Nessuno ha diritto di sabotare la
religione di un altro: “Laissez vivre”, come
dicono in Francia.
Io sono un musulmano e non posso fare del
male agli altri, quando arriverai da Dio do-
vrai dimostrare che persona sei. Forse nei
paesi arabi ci sarà qualcuno che finanzia
queste cose terribili, ma un buon musulma-
no sa che non si deve fare violenza a nessuno.
Commissione
La Commissione territoriale per il ricono-
scimento della protezione internazionale
è l’autorità competente alla decisione in
merito alla domanda di protezione inter-
nazionale. Fino al 2008 in Italia cera solo
un unica Commissione centrale. Succes-
sivamente furono create dieci Commis-
sioni territoriali, portate a venti con il
Decreto Legge n. 119 del 22 agosto 2014.