Gentile redazione,
ho letto con grande interesse l’intervista con Francesco Grassi sulla parabola politica di Riccardo Lombardi. Desidererei solo aggiungere qualche considerazione relativa al periodo 1962 - estate 1964 quando ero in uno stretto colloquio politico con Riccardo Lombardi che “mi obbligò” ad assumere la vice-direzione dell’Avanti! altrimenti, mi telegrafò, egli non si sarebbe impegnato nella direzione politica del giornale. Quali che fossero le mie opzioni più profonde, non mi andava di indebolire quella che mi pareva una occasione politica cui, nelle mie proporzioni, avevo cercato di collaborare.
Comincerei con un sicuro inedito: la nostra discussione teorica intorno alla trasformazione dei valori in prezzi nel Capitale di Marx. Entrambi eravamo convinti che Marx si fosse posto un falso problema scientifico. Riccardo aveva da poco preso in mano la (allora) recente traduzione italiana dei Grundrisse ed è probabile che fosse influenzato nel giudizio da quella lettura. Oggi mi è ben chiaro che un problema scientifico in Marx c’era, e molto complesso, poiché era il tentativo di riformulare i temi fondamentali della economia classica. Ma allora si trattava di interpretare (in linea con la prevalente tradizione italiana rispetto, poniamo, a quella tedesca) la teoria del valore in un quadro storico-politico operativo: quella che era la eredità dell’unità storica della classe operaia che socialdemocratici e comunisti hanno condiviso, al di là dell’abisso che li divideva relativamente al rapporto della classe operaia con la struttura dello Stato e le sue istituzioni.
Tuttavia, per comprendere il senso di quelle riflessioni, bisogna ricordare che socialmente eravamo negli anni del cosiddetto “neocapitalismo” con il rischio -si diceva- di un indebolimento della coscienza di classe in una possibile integrazione nelle forme di vita di una “società opulenta” di cui si vedevano bene i sintomi.
Di fronte a un partito comunista fortissimo ma sostanzialmente bloccato su una “rendita politica di posizione”, occorreva trovare una strategia attraverso cui dare una forte identità al Psi e far valere in modo nuovo l’antico proposito della trasformazione della società. Fu Lombardi con i suoi più stretti collaboratori (tra i quali cito qui solo Antonio Giolitti per l’ammirazione e l’affetto che ho sempre avuto per la sua figura) a considerare che la forma dello Stato, così come si era storicamente strutturato in Italia con il sistema quasi pubblico delle banche, l’industria di Stato, le partecipazioni statali e con una nazionalizzazione dell’energia elettrica (come poi si è fatta in modo insoddisfacente per Riccardo), poteva essere il luogo per una trasformazione sociale del paese.
Esistevano materialmente le “precondizioni” per le “grandi riforme” per quel “socialismo possibile” di cui aveva scritto Giolitti. In questa prospettiva la centralità del parlamento diveniva fondamentale (tutto il contrario della concezione leninista), sostenuta tuttavia da una mobilitazione della classe operaia a sostegno della azione legislativa.
Questo era il modello, un poco romantico, del riformismo rivoluzionario. Per sostenere questa tesi, nell’estate del 1963 pubblicai un libretto, una cosa da poco, tutta giocata con un lessico filosofico e con poca conoscenza storica, cosa che, con molto garbo, mi disse una cordiale recensione sul “Ponte”. Tuttavia al congresso socialista del primo autunno del ’63 il libretto ebbe un suo successo. Confesso, per quanto possa sembrare un comportamento stravagante, che a quel congresso non c’ero. Recentemente una giovane studiosa mi ha chiesto se allora fossi passato dal marxismo alla tradizione liberal-socialista. Non era affatto vero, mancavo, per vizio ideologico, di questa esperienza, e non facevo che sviluppare in una costruzione teorica la simulazione del superamento pratico della crisi della dialettica sociale. Ma allora (e bisogna ricostruire bene l’allora) nel Psi si era alla ricerca di un lessico di rappresentazione politica e qualche parola in più quelle pagine la mettevano in circolazione.
Sull’a-comunismo di Merleau Ponty cadeva abbastanza spesso il discorso. Senza cadere in una filologia filosofica, che qui non ha ragione di essere, si può dire il senso che mi pareva avesse per Riccardo.
Occorreva stare su una posizione politica che non fosse in alcun modo subalterna a quella del Pci, ma nemmeno una pregiudiziale ostilità nei confronti di quel partito. Una contrappo ...[continua]

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