Marie-Anne Matard-Bonucci
Vorrei ringraziare gli organizzatori per avermi dato la possibilità di leggere questo libro importante, e salutare quest’iniziativa di traduzione in italiano. Ho saputo con piacere che sarà presto tradotto anche in francese. Il campo di Ravensbruck è probabilmente più importante nella memoria della deportazione in Francia rispetto all’Italia perché diverse figure notevoli di partigiane vi furono deportate: basta ricordare Germaine Tillion, o Geneviève de Gaulle-Anthonioz, nipote del generale De Gaulle.
Raccontare la storia di Ravensbruck non era un impresa facile. I nazisti hanno cercato di nascondere ciò che succedeva nei campi di concentramento e più ancora nei centri di sterminio. Quando ne hanno avuto la possibilità -è stato il caso di Ravensbruck- hanno distrutto gli archivi, però riuscendo raramente a occultare completamente tutte le atrocità di cui i campi furono il teatro. La ricostruzione di Sarah Helm si fonda su documentazione d’archivio, ma anche su testimonianze pubblicate. Questa documentazione è stata arricchita dalle testimonianze delle sopravvissute da lei raccolte, interviste molto interessanti.
Leggendo il libro mi è tornata alla mente una riflessione della storica francese Annette Wieviorka. Sottolineava il fatto di scoprire ancora cose nuove sul sistema concentrazionario dopo decenni di ricerche; cose sorprendenti e terrificanti: come se non si toccasse mai il fondo dell’orrore.
Dalla lettura di questo volume, si evince che Ravensbruck fu un campo tipico e al contempo atipico. Quando fu aperto, nel ’39, vi si ritrovavano quasi tutte le categorie di deportate: le politiche, che sono le più numerose, le donne ebree, tra cui le ebree "protette” (originarie di Paesi alleati della Germania o neutrali), le zingare, le testimoni di Geova, le prostitute, e poi le delinquenti ecc. Una società complessa, articolata, declinata all’interno di un universo esclusivamente femminile.
Negli anni, la popolazione del campo cambia notevolmente: inizialmente ci sono soprattutto donne tedesche, ma a poco a poco si aggiungono altre nazionalità e alla fine assistiamo a un vero caleidoscopio con più di una ventina di nazionalità. La ricerca di Sarah Helm descrive molto bene i rapporti tra queste nazionalità, la solidarietà ma anche i dissensi, le lotte. È interessante notare come in base alle diverse nazionalità, e alle storie dei singoli paesi, si manifestino comportamenti specifici: le francesi, ad esempio, hanno al reputazione di essere toste, un po’ "protestataire”, contestatrici, mentre le russe, perlopiù comuniste, hanno questo senso dell’organizzazione che aiuta la sopravvivenza.
Il campo di Ravensbruck è stato un campo di concentramento, ma anche di sterminio, con una camera a gas. Parliamo pertanto di un sistema concentrazionario complesso. Purtroppo, proprio da questa complessità spesso i negazionisti traggono argomenti, appellandosi a una presunta contraddittorietà delle testimonianze.
Ecco, devo dire che, riguardo questo aspetto, l’autrice è stata molto abile: quando rilevava una discordanza tra una testimonianza e l’altra, la esplicitava approfondendo. Questo secondo me è l’approccio più corretto. Non solo perché il processo di trasformazione che opera la memoria è naturale. Ma anche perché questi campi erano proprio "universi” molto disparati: tra un comando e l’altro, un blocco e l’altro, una nazionalità e l’altra potevano esserci vissuti molto diversi. Questo campo ha un’ulteriore triste peculiarità sulla quale l’autrice si sofferma molto e sono gli esperimenti pseudo medici. Su questo ci sono tantissime testimonianze, a volte difficili da sostenere.
Voglio concludere sottolineando alcuni meriti di questa ricerca. Intanto l’efficacia della narrazione. C’è spesso un andirivieni tra il presente della testimonianza e il passato dei ricordi; quando Sarah Helm va a intervistare una sopravvissuta, a Parigi, c’è una descrizione della casa, dell’anziana signora, ma viene raccontato anche il modo in cui i ricordi, sollecitati, emergono. È come se l’autrice avess ...[continua]
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