Il primo ricordo che ho di mio padre non è una parola né un pensiero, è uno sguardo amorevole rivolto proprio a me, la sua figlia primogenita. È uno sguardo di vita, dalla cui luce una persona può vedere se stessa e anche l’orizzonte. Papà era una carezza. La carezza delle sue grandi mani e le mie forti risa quando mi sollevava in alto e, con gentilezza, mi lasciava cadere tra le sue braccia. Lo sguardo amorevole di mio padre ha radicato in me la fede e la sicurezza di cui avevo bisogno per volare sempre più in alto, sempre più lontano. Grande e forte, lui mi protegge.
Anche se non conoscevano nulla della mia infanzia, le persone spesso mi dicevano: "Eri la figlia prediletta di tuo padre. E ciò ti ha reso grande nel mondo”. Lui sapeva, con molta naturalezza e semplicità, come rendere grandi le persone che amava.
Mio padre aveva una volontà di ferro ed era pieno di energia, ma allo stesso tempo era una persona fragile, sensibile e triste. 
Ogni àncora è legata a una fune al cui capo c’è una nave. Posso vedere papà qui tra noi, che ci osserva, pieno di orgoglio, emozionato di vedere Sami, a lui caro come un fratello. Se fosse qui, scoppierebbe in lacrime, come era solito fare. Mio padre era un uomo di lacrime facili, dagli occhi lucidi, portava sempre un fazzoletto di stoffa in tasca. Assistere allo spirito di riconciliazione portato avanti da coloro che seguono il suo cammino, sarebbe stato per aba (papà) un’ottima occasione per un pianto gioioso.
Esploratore è altro aggettivo per descrivere mio padre. Era uomo di viaggi, cercava nei luoghi selvaggi e sulle montagne vie nuove. Un avventuriero solitario, forte nel corpo e testardo nell’anima, ma bisognoso di compagni con cui poter condividere la fatica. Era votato anima e corpo agli amici che hanno patito con lui la crudeltà del mondo, le ingiustizie e le sofferenze degli indifesi. "Non posso voltarmi dall’altra parte -era solito ripetere- dobbiamo rafforzare i deboli, tendere la mano a chi sta annegando, prenderci cura dei sofferenti, capire i silenziosi, ascoltare i balbuzienti”.
Dan non era una persona indolente. Si rifiutava di accettare la realtà per come la vedeva, ed era pronto a combattere fino alla fine per rendere il mondo più giusto.
Il metodo che ha creato -la risoluzione dei conflitti attraverso la narrazione di storie- era il suo più grande desiderio. È stato il risultato di un percorso personale e di una biografia controversa, che è poi diventata la sua forza.
Già da giovane era visto come un leader naturale, dotato di forza e visione. Nel kibbutz lavorava all’interno del frutteto. Se il trattore arrivava in ritardo per la stagione di raccolta, papà si metteva a tirare di persona il carro carico di frutta. Impaziente, sicuro delle sue capacità, trainava il carro con la sua forza di volontà. Tuttavia, le guerre lo cambiarono.
Nel 1967, avevo quattro anni quando tornò dalla Guerra dei sei giorni. Ricordo i suoi occhi terrorizzati e pieni di tristezza. Il suo migliore amico, Oded Shani, era stato ucciso in battaglia. Papà non celebrò la vittoria, ma si unì al movimento di protesta contro l’insediamento nei territori occupati e fu tra i fondatori del movimento per la pace.
Successivamente, sei anni dopo la fine della guerra del Kippur, in crescente opposizione alla politica di Israele, l’entusiasta pioniere-esploratore abbandonò i suoi sogni di leader politico e andò a studiare psicologia. Dan era un innato psicologo sociale. Pose così l’attenzione su come la Prima Intifada avesse distrutto emotivamente i soldati israeliani. Si interessò alle storie della seconda e della terza generazione dei persecutori nazisti e dei sopravvissuti all’Olocausto. Incoraggiò israeliani e palestinesi a raccontare le loro storie e insistette sull’importanza di incontri diretti tra le persone. 
La conoscenza personale crea sentimenti di amore e previene il disprezzo e la paura dell’altro. Si rifiutò di etichettare le persone come "vittime” o "carnefici” e di porre barriere tra di loro. Preferì l’ascolto alla predica, creando un nuovo campo di ricerca, una nuova via. Infine, nei suoi ultimi anni di vita, trovò pace e soddisfazione nelle sue attività in giro per il mondo.
Con il professor Sami Adwan creò il Prime (Peace Research Institute in the Middle East), sostenne decine di studenti all’università Ben Gurion e moderò gruppi di dialogo e riconciliazione. Creò una comunità di cercatori di pace e amanti ...[continua]

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