Che cos’è, chi è un poeta? A chi si può dare il nome di poeta? A chi ha pubblicato uno o più libri di versi come che siano, o a chi ha scritto delle poesie che si ricordano e si ha voglia di rileggere? In quel vero e proprio oceano che è oggi la produzione di testi etichettabili come poetici, sarebbe molto utile un criterio che permetta di distinguere fra “strane parole” e vere poesie. Questo criterio, purtroppo per chi crede solo nelle scienze esatte, non è e non sarà mai scientifico come un’equazione o un esperimento chimico. La logica della cultura estetica e morale funziona diversamente e prevede una quota maggiore di soggettività e di relativismo. Gli atomi, le molecole, i numeri e le cellule si comportano secondo certe leggi anche in luoghi e tempi diversi. Le scienze umane hanno invece bisogno di esseri umani, che sono molto più variabili sia come soggetti che come oggetti di conoscenza. Se poi si tratta di estetica, il piacere, la passione, il gusto, la psicologia, l’educazione, il luogo e il momento contano ancora di più. Le poesie non rispondono a un bisogno primario e non sono pericolose, né per la società né per l’incolumità degli individui. Questo riduce di molto il numero delle persone che se ne interessano. Sarebbe augurabile però che le non molte persone interessate alla poesia fossero più competenti. Solo che la competenza estetica, letteraria, linguistica, testo per testo, autore per autore, richiede non solo una certa predisposizione naturale, richiede anche esperienza e pratica di lettura che a loro volta variano da individuo a individuo. Oggi lo stato generale di questa competenza è arrivato ai livelli più bassi nonostante la scolarizzazione di massa e l’istruzione obbligatoria.
E ora ecco una personale valutazione critica, senza dubbio discutibile, ma di cui sono convinto da qualche decennio: a giudicare dai libri e dagli autori pubblicati nelle maggiori case editrici, un tempo le più selettive, e a giudicare dai giudizi critici che circolano come autorevoli o perfino indiscutibili, direi che “nessuno capisce più la poesia”; nessuno, cioè poche decine di persone, fra le quali non è detto che siano compresi neppure la maggior parte dei docenti universitari di letteratura, né la maggioranza dei recensori. Accade con una frequenza preoccupante che se si legge una pagina critica o un articolo e poi si leggono i testi poetici a cui si riferiscono, si rimane sorpresi perché troppo spesso non si capisce che cosa abbiano a che fare, fra loro, le parole del critico e le parole del poeta.
Più che delineare il ritratto complessivo dei loro autori, ho deciso di scegliere e leggere qui tre singoli testi di tre diversi autori, secondo me fra i più notevoli e originali di oggi. Testi che li caratterizzano in modo particolarmente efficace e chiaro. La prima è una poesia abbastanza lunga di Riccardo Held, di cui tralascio alcune strofe:

La vedo e poi la so, la sento intorno
questa cosa che brucia senza luce
questa notte nascosta dentro al giorno
questa parola che non si traduce;

la vedo dentro agli occhi della gente
estranea che non so più cosa sia
ma perché la mia gente? I miei amici
che sono specie mia, famiglia mia,

anche noi questa cosa nello sguardo
o tra gli occhi e la bocca all’improvviso
una specie di assenza, sospensione
una vacanza breve provvisoria

come un non esserci per un momento,
migrati via dentro di sé lontano
dentro un altro recinto una paura
breve e cattiva come una domanda,

quelle che non si vogliono sentire.
Ma è solo per un attimo poi tutto
torna all’ordine bello della tavola:
siamo piuttosto bravi non c’è dubbio

con tovaglie e posate e la cucina
spesso è davvero di ottimo livello,
sappiamo starci a tavola e i discorsi
a volte sono buoni pure quelli.

(...)

io vorrei proprio far fermare il tempo
e vorrei che nessuno andasse a casa.
Non fosse tra le palpebre e le labbra
questa fuga dal posto questo scarto

questo piccolissimo scisma di paura
breve e cattiva come una domanda,
quelle che non dobbiamo articolare
quelle che non si vogliono sentire

(“At dinner”, da La Paura, Scheiwiller 2008)

Le prime due cose che si notano sono il modo in cui è accuratamente organizzato il testo in strofe di quattro versi, ogni verso un endecasillabo, all’inizio con rime più regolari, poi con qualche assonanza. La seconda cosa che il lettore nota è che in una forma così solida e controllata, a cui l’orecchio dopo un po’ si abitua, viene ...[continua]

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