Direi innanzitutto che oggi, come venti o trenta anni fa, avremmo bisogno di una ridefinizione della politica. Tutti i momenti di crisi, di grande rimescolamento, comportano anche una maggiore partecipazione, o una possibilità di maggiore partecipazione, da parte di tutti ed è in questi momenti che si sente il bisogno di ridefinire che cosa è la “politica”. Di solito non solo nel senso comune, ma persino nella sociologia politica, nel pensiero politico più elaborato, si gira attorno all’idea che la politica sia qualcosa di negativo, una cosa puramente strumentale, completamente distaccata dalla morale. Si dice che questa è la modernità, l’universo politico moderno nasce proprio con la separazione tra politica e morale. La cosa curiosa, però, è che in realtà tutte le democrazie moderne -dagli Stati Uniti, che si sono costituiti attraverso una rivoluzione, alla democrazia inglese, che convive con la monarchia ma si è anch’essa realizzata attraverso una rivoluzione, a quella francese- sono dei regimi che connettono molto strettamente l’etica con la politica. Quando dico questo intendo anche dire che la politica non dovrebbe essere un’attività per professionisti che se ne occupano tutta la vita, senza avere altri interessi, altre fonti di ispirazione alla loro azione.
Dall’altra parte la politica non deve essere considerata qualcosa di utopistico, come fosse la chiave di tutto, la soluzione a tutti i problemi. Io credo che la politica vada ridotta ad una seria, precisa, controllabile, ma non enfatica né utopistica, amministrazione corretta di quello che c’è. Questo va certo accompagnato da una cultura che implichi una riflessione sul senso della vita sociale, sui fini che ci proponiamo, su quello che dovrebbe essere la vita sociale, sui rapporti tra la vita sociale e quella individuale, eccetera, ma se noi attribuiamo troppa importanza alla politica, come sta avvenendo adesso, aspettiamo dalle elezioni una specie di rinnovamento che in realtà non potrà esserci. Se affidiamo tutto alla politica ci aspettiamo che i partiti siano l’incarnazione dei nostri ideali, ma io penso che questo non debba succedere. Penso che i partiti debbano avere dei programmi e non delle grandi ideologie.
Questo vorrebbe dire che con la Lega ci si deve misurare non tanto su un piano ideale e culturale, ma principalmente sulla capacità di amministrare...
Quello che intendo dire è che non bisogna delegare alla politica la formulazione e l’elaborazione degli ideali, delle filosofie sociali e della morale -credo, fra l’altro, che questa sia una cosa che sta tramontando un po’ dovunque-, ma naturalmente non è che la buona amministrazione sia tutto. Il politico deve essere un delegato, un qualcuno a cui si delega qualcosa che naturalmente condividiamo, ma non bisogna aspettarsi che i partiti siano l’incarnazione di una religione o di una filosofia della storia. Da questo punto di vista bisogna anche eliminare l’idea che la DC sia il cristianesimo o che il PCI fosse “il filosofo collettivo” e ex DC o ex PCI hanno dovuto prendere atto che è finita l’epoca in cui il partito doveva essere anche una visione del mondo o addirittura una religione.
La Lega, però, riesce ad allargare i suoi consensi...
La Lega è un fenomeno sociale e culturale nuovo e non bisogna nascondersi che negli ultimi anni gli italiani non è che siano poi tanto migliorati, spesso, nel costume collettivo, sono anche peggiorati. Certi aspetti di questo cambiamento si vedono anche nella Lega: si ha molto bisogno di uno che gridi, che straparli, che dimostri di avere forza. I leaders della Lega non si sbilanciano mai troppo sul piano ideologico: hanno paura di dare una formulazione chiara della propria ideologia perché, scendendo su quel terreno, la loro base elettorale potrebbe dividersi. La Lega ha un forte impatto perché tocca il punto cruciale di una politica ambigua, basata sulla doppiezza e sulla corruzione: da una parte si dichiarano valori e dall’altra si ruba, e al primo posto, da questo punto di vista, metterei la DC, anche se il PSI ha funzionato da acceleratore. La forza della Lega sta nel suo essere politicamente determinata, violenta, tagliente, ma ideologicamente indefinita; nel suo essere, come dire, la rivoluzione della classe media. La base elettorale della Lega ...[continua]
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