Anche se non ha senso definirla “la migliore del mondo”, la nostra Costituzione è una buona Costituzione. Per decenni si sono susseguite proposte di riforme profonde e con pretese di organicità, che hanno prodotto la modifica del titolo V sui rapporti tra Stato e autonomie locali (da tutti ormai considerata pessima), promossa con un referendum popolare del 2001, e le riforme Calderoli e Renzi, entrambe bocciate dai referendum. Interrotta, pare, la stagione delle “riforme”, si è spostata l'attenzione su aggiustamenti specifici, come la riduzione del numero dei parlamentari sulla quale è imminente un altro referendum. Riduzione da sempre bandiera della sinistra, che veniva anche indicata tra i motivi per votare sì alle riforme Calderoli e Renzi che quella riduzione contenevano, ma che adesso è contestata dai molti intellettuali, giuristi e parlamentari che si sono schierati per il No. Nulla ci sarebbe da dire sul No dei parlamentari che avevano votato contro la riforma, e in certa misura anche sul No dei proporzionalisti; ma la conversione al No di coloro che in Parlamento avevano votato a favore, oppure la preoccupazione dei sostenitori del maggioritario -che negli ultimi trent’anni ha tolto ai cittadini la scelta quasi sempre dei partiti (spesso costretti a presentarsi in coalizioni male assortite) e sempre degli eletti- per la “compressione della rappresentanza” che deriverebbe dalla riduzione dei parlamentari, sono alquanto indecenti.
Si lamenta l’assenza di riforme concorrenti con la riduzione dei parlamentari e lo schematismo della scelta che deriva dallo strumento referendario. Argomentazioni che, a parte il rilievo che il referendum è stato (legittimamente) chiesto dai contrari alla riforma, esprimono un chiaro disprezzo per il popolo che vota, che si vuole schematico e incapace di concepire disegni generali - mentre solo i sapienti (come gli inutili “saggi” nominati da Napolitano anni fa?) saprebbero capire la complessità e governarla. Eppure è soprattutto sulle regole fondamentali di una comunità politica che il popolo può e deve dire la sua; la preferenza per i tecnici, nei limiti ristretti in cui può essere accettata, ha senso per la redazione di leggi di dettaglio e di regolamenti attuativi.
Il sentimento comune è che i parlamentari guadagnano troppo; sono spesso incompetenti, ridicoli e non rappresentativi della “disciplina e onore” richiesti dall’articolo 54 della Costituzione ai funzionari pubblici; per lo più votano le leggi principali (a cominciare da quelle di bilancio) senza conoscerle né cercare di conoscerle, limitandosi a votare o a negare la fiducia posta dal Governo di turno per strozzare la discussione e sedare le tensioni interne alle maggioranze: è un sentimento lontano dalla realtà, frutto di misteriose manipolazioni? Pare di no. E diminuire il numero di parlamentari per ridurre il numero di coloro che campano di politica senza lasciare un segno nella vita pubblica e indurre gli eletti a lavorare meglio è un rimedio arbitrario, velleitario, reazionario? Pare di no. Di reazionario propriamente detto, nell’Italia di oggi, c'è soprattutto il benaltrismo, nelle sue versioni così simili di destra e di sinistra.
A dirlo si sarà “populisti”, ma è davvero ridicolo il chiedere agli elettori di preoccuparsi della “compressione della rappresentanza” in astratto, quando la rappresentanza concreta che è sotto gli occhi di tutti è quella che è; la rappresentanza, comunque, è “compressa” sia da ragioni interne (il discredito di buona parte dei parlamentari e della loro attività) che da ragioni esterne, e cioè dallo sgangherato maggioritario vigente da decenni. Ma il ritorno al proporzionale mediante legge ordinaria, per il quale tanto si impegna il deputato pentastellato Brescia, non certo un qualunquista, potrebbe essere approvato in tempi brevi, magari con un opportuno abbassamento al 3% della soglia di sbarramento; mentre i regolamenti parlamentari e i collegi elettorali potrebbero essere rivisti subito dopo, giusto per rendere la rappresentanza una cosa seria. In questo modo verrebbe sepolta per sempre la stagione delle Grandi Riforme e del partito unico benaltrista, e risulterebbe confermata l’evidenza che, piaccia non piaccia (e magari non piace), nessun cambiamento apprezzabile è al momento possibile senza il contributo di M5S. Effetto boomerang spiacevole per molti sostenitori del No, certo.
Vittorio Gaeta
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