Ci sono, nel mondo, alcune centinaia di milioni di persone che vivono in un paese diverso da quello di nascita e che almeno una volta, nella loro vita, hanno traversato un confine di stato per prendere dimora in un paese diverso dalla loro patria. Questa massa di persone (stock migratorio) vive per oltre la metà nei paesi sviluppati, è in rapida crescita ed è quasi raddoppiato tra il 1990 e il 2019, passando da 153 a 272 milioni. Nel 2020, e per la prima volta da quando le stime sono iniziate (1960), lo stock migratorio si troverà in diminuzione, per effetto della pandemia di coronavirus che ha costretto milioni di persone a rientrare nei paesi di origine, e ha bloccato nei loro paesi di residenza coloro che intendevano emigrare. La migrazione è parte integrante dei processi di globalizzazione: i flussi internazionali di merci, di servizi e di mezzi finanziari portano con sé, prima o poi,  movimenti di persone. Questa pausa, e questo parziale riflusso delle migrazioni, pone degli interrogativi. Si tratta di un episodio transitorio, conseguente al dilagare della pandemia, oppure è l’inizio di una nuova fase caratterizzata dal rallentamento della mobilità internazionale? In quale misura la pandemia, che ha fortemente colpito i migranti, sta generando conseguenze economiche e sociali più vaste? E, infine, quali possono essere le ricadute sulle politiche migratorie che attualmente regolano (in modo assai disordinato) i flussi internazionali?
Migrazioni in difficoltà
In una recentissima pubblicazione sono stati raccolti dati circa l’immigrazione nei paesi dell’Ocse nel primo semestre del 2020: l’immigrazione non stagionale è scesa del 42% rispetto allo stesso periodo del 2019, 18% nel primo trimestre e 72% nel secondo. Nella presentazione del rapporto, l’Ocse afferma anche che “ci sono evidenti segnali che la mobilità non ritornerà ai precedenti livelli per un certo tempo. Questo è dovuto ad una domanda di lavoro più debole [nei paesi di immigrazione], alle severe restrizioni sui viaggi, e al diffuso ricorso al telelavoro tra i lavoratori maggiormente qualificati”. Anche in Italia ci sono evidenti segnali del rallentamento dell’immigrazione nel primo semestre dell’anno.
I migranti costituiscono il gruppo di persone più duramente colpito dalla crisi. Da sempre, in caso di crisi, la disoccupazione cresce più rapidamente tra gli immigrati rispetto agli altri lavoratori nazionali, ma nei tempi della pandemia questo divario si è ancora allargato. Inoltre gli immigrati sono particolarmente vulnerabili al virus, per una pluralità di motivi: accedono ai presidi sanitari con difficoltà; sono maggiormente esposti ai rischi di contagio lavorando in attività essenziali, come la logistica, l’industria alimentare, i trasporti, le pulizie, le professioni sanitarie; soffrono di una maggiore povertà e di condizioni abitative spesso degradate. L’Ocse ricorda che nel mondo sviluppato, un quarto del personale medico e un sesto di quello infermieristico è straniero, in prima linea nel contrasto alla pandemia e quindi più vulnerabile. Si aggiunga anche che le collettività di migranti sono restate vittime delle restrizioni ai viaggi internazionali che hanno impedito i rientri in patria, o il ritorno al paese di immigrazione per coloro che erano rientrati in patria per motivi familiari, di affari o altro. Infine, la vulnerabilità  in tempi di pandemia è fortemente accresciuta per i milioni di migranti che vivono in condizioni di irregolarità. Le vicende migratorie sono per lo più viste nella prospettiva dei paesi ricchi, nei quali le restrizioni agli spostamenti imposte dalla pandemia hanno creato forti disagi in molti settori produttivi, in testa l’agricoltura, risolti con provvedimenti ad hoc, quali viaggi charter per taluni gruppi di lavoratori o le sanatorie per gli irregolari, come avvenuto in Italia. La sorte dei migranti rimasti senza lavoro, o impossibilitati a rientrare nei loro paesi è stata dura, ma in qualche misura alleviata dai sistemi di welfare esistenti.
In Asia, grande serbatoio di migranti, l’epidemia ha creato situazioni spesso drammatiche. In Malaysia vivono tra i quattro e i sei milioni di migranti regolari e irregolari ma “un gran numero hanno perso il lavoro per la chiusura dei centri commerciali, delle manifatture, delle grandi imprese di costruzione. L’esercito ha sbarrato una vasta area attorno al mercato all’ingrosso Selayang, ai limiti della capitale Kuala Lampur, bloccando migliaia di lavorat ...[continua]

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