Il 20 marzo scorso, a Piacenza, si è tenuta una giornata di riflessione e discussione sulla storia e la presenza dei Quaderni Piacentini nel dibattito culturale italiano fra 1962 e 1984. Fondati nel 1962 da Grazia Cherchi e Piergiorgio Bellocchio, i Quaderni costituiscono un caso abbastanza raro in Italia di rivista politico-culturale di sinistra non legata a partiti, gruppi o correnti, che per circa vent’anni fu il luogo naturale d’incontro e dibattito della nuova sinistra e, nel 1968-69, divenne strumento di elaborazione e diffusione delle idee del movimento studentesco. Inizialmente influenzati dal dibattito politico di piccoli gruppi marxisti di tendenza operaista come quello dei Quaderni Rossi di Raniero Panzieri o Classe Operaia di Tronti e Asor Rosa, subito si distinsero per originalità, spregiudicatezza e indipendenza. Nella rivista commenti sociali e di costume si alternavano a recensioni e segnalazioni di libri (famosa la rubrica “Libri da leggere e da non leggere”) oltre a saggi d’analisi politica ed economica. Tra i collaboratori comparvero Franco Fortini, Sergio Bologna, Giovanni Giudici, Giovanni Jervis, Goffredo Fofi (poi condirettore), Giancarlo Majorino, Edoarda Masi, Luciano Amodio, Cesare Cases, Luca Baranelli, Michele Salvati, Francesco Ciafaloni, Carlo Donolo, Alfonso Berardinelli, Federico Stame e altri.
Ridefinire la politica, questo il titolo della giornata di studi che, nello spirito della rivista, non ha avuto nessun intento celebrativo, animata semmai dalla necessità di rivisitare alcuni interrogativi su cui già avevano riflettuto e scritto molti animatori e collaboratori dei Quaderni Piacentini: che cosa non capivamo? Dove abbiamo sbagliato? Come e quanto in peggio è cambiato il mondo (e alcuni di noi con lui)?
Il convegno è stato dedicato alla memoria di Grazia Cherchi.

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"Quegli studenti che contestavano in giacca e cravatta"

Carlo Donolo insegna Sociologia del Diritto presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma; ha collaborato ai Quaderni Piacentini dal ‘68 alla fine degli anni ‘70, tra i suoi articoli più significativi ricordiamo “La politica ridefinita” (n. 35, luglio ‘68) e “Contro la falsa coscienza del movimento studentesco” (n. 38, luglio ‘69, con Francesco Ciafaloni).

Allora, in parte perché più giovani, in parte perché immersi in un processo sociale molto conflittuale e convulso e, per un altro verso, spesso sprovvisti di un accesso serio e sistematico a informazioni fondamentali, fummo costretti a lavorare in un modo che appare molto artigianale; anche semplicemente accedere a qualche documento, a qualche analisi era una cosa alquanto difficile, più di quanto sia possibile concepire oggi, nell’epoca di Internet e con un mercato editoriale che traduce moltissimo. Lo sforzo dell’informazione e della propria formazione è stato dunque un carattere della fase; tanto più che si stavano presentando contemporaneamente tanti temi, alcuni inusitati e ancora poco analizzati. Anche questo può spiegare il disorientamento e talvolta gli abusi lessicali che si trovano negli articoli di quell’epoca, anche nei miei. Tradussi per esempio dei saggi di Habermas su tecnica e società e feci un’introduzione che credo regga ancora oggi, era una cosa seriosa di tipo sociologico, alla fine però c’era un pistolotto dove facevo un’allusione abbastanza diretta alla rivoluzione culturale cinese. Ora, siccome io sulla rivoluzione culturale cinese non ho mai saputo niente di specifico, il fatto di aver aggiunto quelle quattro righe a quel testo, in sé serio e credo sostenibile ancora oggi, penso fosse una forma di captatio benevolentiae, perché il volume era pensato per un pubblico di potenziali studenti o militanti che dovevano confrontarsi col problema della tecnica nella società contemporanea e in effetti fornivo loro degli strumenti per farlo, ma alla fine mi ero convinto che gli argomenti razionali non sarebbero bastati e quindi per quattro righe ho ceduto alla vulgata della rivoluzione culturale cinese allora condivisa: il superamento della divisione sociale del lavoro, la possibilità di superare le più terribili difficoltà col solo volontarismo; tutte cose storicamente fasulle, ma che facevano parte dell’atmosfera comunicativa dell’epoca. Molti scritti sui Quaderni Piacentini spesso però non godevano affatto di una grande simpatia da parte forse dei suoi stessi lettori e certamente del grande pubblico dei militanti e dei giovani dell’e ...[continua]

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