A Khartoum siamo entrati in contatto non solo con i colleghi ma anche con tanti protagonisti di una società civile quanto mai vivace, creativa, desiderosa di mettersi alle spalle i trent’anni di dittatura islamista di al-Bashir. La caduta del regime, per mano dell’esercito e dopo mesi di manifestazioni popolari, avviene nel 2019. Un improvviso senso di libertà attraversa il Sudan: tutto sembra ripartire nel periodo in cui il Paese è guidato da un Consiglio sovrano che vede la compresenza di membri militari e civili. A capo del Consiglio c’è il generale Abdel Fattah al-Burhan; come Primo ministro è nominato Abdalla Hamdok, economista di grande esperienza. Il governo di transizione doveva portare dopo 39 mesi a elezioni per la formazione di un governo civile. L’esperimento si interrompe bruscamente nell’ottobre del 2021, quando i militari con un colpo di stato estromettono i civili dal governo e reprimono violentemente le proteste popolari. Anche a seguito di pressioni e mediazioni internazionali, iniziano trattative per riprendere il processo verso la democratizzazione del paese. Gli attori in campo sono, da una parte, l’esercito regolare (Sudanese Armed Forces, Saf), fedele a Burhan, e le Forze di Intervento Rapido (Rapid Support Forces, Rsf), guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemmeti, una milizia voluta da al-Bashir come sua guardia personale ed erede dei janjawid, i “diavoli a cavallo”, tristemente noti per il terribile conflitto in Darfur. Dall’altra parte, c’è una galassia di una quarantina fra partiti, sindacati e movimenti a rappresentare la società civile, molti dei quali riuniti nelle Forces of freedom and change. Le trattative sembrano progredire e, al tempo della nostra permanenza in Sudan, era opinione condivisa che ai primi di aprile si dovesse arrivare alla firma di un nuovo accordo. Il processo si arena sulle disposizioni e sui tempi della riunificazione tra Saf e Rsf. In gioco vi è tanta parte dell’economia sudanese, controllata direttamente o indirettamente dall’esercito e dalla milizia. Il 15 aprile 2023, senza reali segnali premonitori, iniziano scontri diretti e violentissimi tra Saf e Rsf: i combattimenti interessano il cuore del paese, la sua capitale. Si combatte attorno e dentro l’aeroporto internazionale, che è in pieno centro, e per la conquista di edifici politici e militari cruciali, dei ponti, delle strade di accesso. La città è smembrata dai bombardamenti e dai combattimenti.
Questa premessa è necessaria per capire le interviste che abbiamo raccolto attraverso i nostri contatti con la diaspora sudanese, in particolare grazie al collega Abdelrahman Musa Eltahir. Il Sudan è conosciuto per la qualità delle sue università e per avere una élite culturale di grande spessore. Tanti di loro vivono a cavallo tra la capitale e l’estero, spesso avendo la doppia cittadinanza. A loro abbiamo fatto giungere le nostre domande. Alcune delle risposte pervenute conservano il carattere di un’intervista e così le presentiamo: si tratta in particolare delle risposte di due giovani donne, Maisun Badawi e Muna Merghani. Le altre quattro testimonianze invece sono narrazioni che prendono spunto dalle domande inviate ma seguono un loro percorso originale. Ognuna di queste è preceduta da un breve profilo biografico degli autori. Per la comprensione delle risposte è necessario dare alcune indicazioni geografiche: Khartoum è posta alla confluenza del Nilo Bianco con il Nilo Azzurro. I tre rami fluviali (aggiungendo il Nilo principale che si forma dopo la confluenza) dividono la città in tre grandi agglomerati: Khartoum, la città coloniale, sede delle principali istituzioni, dell’aeroporto e delle ambasciate; Omdurman, la città della tradizione, dove vi è anche la tomba del Mahdi (morto nel 1885); Khartoum North, che comprende anche il grande quartiere di Bahri e la zona industriale. La città si dilata in tutte le direzioni e ha accolto nel tempo centinaia di migliaia di profughi dai Paesi vicini. La grande Khartoum è abitata, secondo le ultime stime, da nove milioni di ...[continua]
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