Questa lettera è la più recente di una corrispondenza intercorsa negli ultimi mesi tra Michael Walzer e il suo amico Gary Brenner, che da oltre cinquant’anni vive in Israele. Le altre lettere, in cui Gary parla delle proteste contro Netanyahu, sono a pagina 8.
 
11 ottobre 2023
Cari Michael e Barbara,
da quel che ho capito dalla mail di Barbara, il prossimo numero di “una città” sta per andare in stampa, e lei mi ha chiesto di scrivere qualcosa in merito agli attacchi terroristici dello scorso sabato. Concordo sia necessario, come post-scriptum a quanto scritto finora, per cercare di offrire un contesto alla follia in corso in questi ultimi giorni (e a quella che ci attende nel prossimo futuro).
A questo scopo, devo premettere che (come Michael sa) sono un kibbutznik, vivendo io nel kibbutz Hatzor sin da quando mi sono trasferito qui dagli Stati Uniti ormai 53 anni fa. Hatzor si trova a sud di Tel Aviv, circa 35 chilometri a nord dei kibbutzim (che è il plurale di kibbutz) che costeggiano la Striscia di Gaza. In questi circa venti kibbutzim conosco dozzine di persone mie coetanee, i loro figli e nipoti, perlopiù a causa del mio ruolo di capo della Divisione giovani della Federazione del Kibbutz Artzi e della mia rete di contatti del network Peace Now, cosa che ho cominciato quarant’anni fa.
Negli scorsi giorni, nel kibbutz Kfar Aza sono stati ritrovati i corpi del miglior amico di mio figlio e di sua moglie. La madre di sua moglie era nata nel nostro kibbutz. Due dei loro figli si sono salvati, uno è tuttora disperso. Uno dei miei migliori amici (la cui moglie era morta di cancro un decennio fa) ora cerca disperatamente la sua compagna, che è del kibbutz Be’eri, dove manca all’appello il 10% dei residenti. Proprio stamattina ho scoperto che un amico di un altro kibbutz, settantacinquenne dalla salute malferma, è ostaggio a Gaza.
Ci sono altri resoconti di questo tipo, ma ve li risparmio perché sono molto dolorosi. Ancora stiamo cercando di raccogliere i nomi di chi è morto, di chi è sparito, di chi è sopravvissuto. Ciò che vi posso dire con una certa sicurezza è che appena pochi giorni prima dell’attacco, ben oltre i due terzi di questi kibbutzniks stavano manifestando contro il governo e contro il rischio che Israele si trasformi in una democrazia illiberale.
Vi posso dire qualcosa anche circa i riservisti dell’esercito: dai piloti in giù, tutti quelli che hanno dichiarato che non presteranno servizio sotto una dittatura ora sono stati richiamati, sono in uniforme e sono pronti a combattere. Da sabato pomeriggio, tutti i circa 200 gruppi WhatsApp delle proteste sono stati inondati di messaggi che chiedevano aiuto per i kibbutzim e le città di Sderot, Ofakim e Netivot: ospitalità, capi di vestiario e altre cose. E così, nel volgere di una notte, le stesse persone tanto biasimate da Bibi e dai suoi seguaci hanno preso il posto del nostro governo di destra, i cui servizi sociali, nel frattempo, restano immobili e in silenzio.
Negli scorsi giorni, il Kibbutz Hatzor ha ammassato una serie di beni di prima necessità e l’altro ieri ho accompagnato la mia nipote sedicenne e i suoi amici a consegnarne alcuni. I centri di distribuzione nella struttura messa a disposizione nella città vicina ribollivano di ragazzi, dai kibbutniks laici agli studenti degli istituti religiosi. Nel rincasare abbiamo udito i suoni delle esplosioni provenienti da Gaza. I miei figli ancora chiudono a chiave le porte di casa nel timore che ci siano altri terroristi in giro e che si siano spinti tanto a nord.
Non abbiamo idea di come possa evolvere questa tragedia. Certo posso assicurarvi che il giorno dopo che le cose si saranno calmate, la protesta rinascerà -ancor più forte di prima. Chissà, magari anche prima di quanto si pensi.
I miei auguri,
Gary