I due maggiori poeti del Novecento italiano sono stati anche eccezionali saggisti, come è successo altrove con Valéry, Machado, Eliot, Benn, Milosz, Auden, Paz, Enzensberger. In Italia abbiamo avuto le prose di Saba e gli articoli di Montale.
Critico letterario e critico della cultura, Montale fa parte di quella tradizione poetica moderna che è stata antimoderna fin dall’inizio della modernità. Due classici e in un certo senso inventori della poesia moderna come Leopardi e Baudelaire sono stati due radicali critici della società e della cultura moderna. Nel Novecento, dopo Saba e prima di Pasolini, benché distante da entrambi, Montale si è trovato a vivere prima nell’Italia fascista e poi nella società della modernizzazione industriale e della prima cultura di massa creata dai nuovi mezzi di comunicazione. Due forme di società che Montale ha sentito come profondamente estranee, ostili e perfino minacciose.
È questa, del resto, la situazione tipica che ha accompagnato la nascita e lo sviluppo della lirica moderna e del suo linguaggio arduo, asociale, misantropico. Nelle forme di società dominate dalla propaganda ideologica di uno stato autoritario e più tardi dall’industria culturale, dal declino dell’individuo e dalla mutazione della stessa idea di arte in merce estetica. Da notare è il fatto che oggetto della critica di Montale, dalla fine degli anni Cinquanta in poi, sono due fenomeni comunemente considerati opposti e alternativi: la cultura di massa e le avanguardie artistiche. Dal punto di vista di queste ultime, la scelta avanguardistica era una reazione estrema e perciò critica alla cultura di massa. L’arte della provocazione, una tecnica propria delle avanguardie, sarebbe perciò una sfida aggressiva e sprezzante al conformismo tradizionalistico e conservatore del pubblico. In quanto anti-arte o arte consapevolmente alternativa, quella d’avanguardia si proponeva di disubbidire alle elementari regole della comunicazione, che nella cultura di massa si è ridotta a comunicazione, non di qualcosa di nuovo, ma a comunicazione di cose già comunicate, che consolino il pigro cattivo gusto più diffuso, il quale si aspetta copie conformi (in realtà degradate e banalizzate) di tradizioni ben note.
Nella nuova arte, che sia musicale o visiva o letteraria, c’è l’idea, una vaga idea generale, che opere vere e proprie, che si possano giudicare tali, siano ormai assenti. Ci vengono offerte, per provocazione, anti-opere. “Il guaio” dice Montale “è che il nostro tempo a forza di scrutare la natura dell’arte l’ha distrutta, ne ha fatto il doppione di qualcosa che esiste in noi e non ha affatto bisogno di estrinsecazioni, di opere” (Auto da fé, p. 154). Ormai si producono teorie estetiche di che cosa è in generale e deve essere oggi l’arte, piuttosto che vera e propria arte materializzata in opere compiute.
Si praticano arti che non si rivolgono più a un vero e proprio pubblico, quanto invece a una ristretta cerchia di “competenti”, studiosi, professori di estetica o altri artisti in cerca di formule che siano in sintonia con ciò che gli storici e i teorici hanno deciso che si può ancora fare in arte, o invece non si può più fare, perché superato dai tempi, cioè dalla Storia. Ma fra pubblico di massa che a suo modo partecipa e nello stesso tempo non sa come partecipare, e d’altra parte la ristretta cerchia specializzata di teorici dell’arte moderna, ci sono o ci si aspetta che ci siano gli artisti in quanto individui. Questi individui sono oggi in grave difficoltà, anche perché il pubblico pretende di sostituirli. Montale cita in proposito la frase di un autore di inizio Novecento: “Una volta avevamo un pubblico; ma ora anche il pubblico si è messo a scrivere”. La cosa sorprendente è che ci si è chiaramente resi conto di un tale fenomeno solo negli ultimi decenni del secolo scorso, e poi sempre di più nel Duemila, fino a oggi. Chi legge oggi romanzi, lo fa perché vorrebbe scrivere romanzi “come si scrivono oggi”. Il fenomeno comunque è molto più generale. La stessa comunicazione fra individui è cambiata:

Sparita quasi del tutto l’abitudine, e la capacità, della conversazione – nella quale la persona umana, l’anacronistico “singolo”, tentava in qualche modo di affermarsi – non è però venuto meno il bisogno di comunicare. E infatti il mondo moderno ha escogitato qualcosa che contempera il bisogno della solitudine con quello del discorso. Il congresso, la “rencontre”, il dibattito ad alto o basso livello, il ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!