Ai bambini piacciono le favole paurose: orchi, streghe, spettri, lupi cattivi, con le loro malefatte di ogni genere e tipo. Non diversamente dagli umani più adulti, spaventati dallo spauracchio demografico. Che ha due facce, la prima che esprime il terrore per la crescita, la seconda impaurita dalla prospettiva del declino. Nel mondo attuale, sembra che lo spauracchio demografico stia cambiando verso: mezzo secolo fa si temeva l’esplosione demografica -boom, bomb, explosion- oggi comincia a inquietare il timore del declino -inverno, glaciazione, desertificazione- in Europa, in buona parte dell’Asia e altrove. Insomma, come avrebbe detto Mike Bongiorno, “allegria!”.
Nell’uscita dell’11 luglio scorso, Gustavo De Santis ha illustrato su Neodemos alcuni aspetti delle nuove proiezioni demografiche delle Nazioni Unite (WPP2024), rese pubbliche nella “Giornata Mondiale della Popolazione”. Adesso ci domandiamo se, davvero, alla luce delle nuove proiezioni, lo spauracchio del declino -che sembrava il vessillo dei vecchi, stanchi, egoisti paesi ricchi- non sia già trasmigrato in vasta parte del mondo. In genere, le proiezioni delle Nazioni Unite si basano su una sorta di consenso degli esperti: questo consenso prevedeva nel 2017 (consideriamo la variante media, tra le ipotesi assunte) che la popolazione del mondo avrebbe toccato 11,2 miliardi nel 2100. Proiezioni successive hanno ridimensionato questa cifra (10,9 miliardi in WPP2019; 10,4 in WPP2022) fino a 10,2 nelle ultime uscite. Un miliardo, in meno di sette anni: la corsa rallenta.
Stabilità e cambio di prospettive, prima e dopo il Covid-19
Proiezioni spinte così lontano, a oltre tre quarti di secolo di distanza, hanno un valore soprattutto illustrativo, ma sono anche il frutto di ciò che gli esperti ritengono plausibile. Le stime fino al 2050, una data non troppo lontana data l’inerzia dei fenomeni demografici, mostrano i valori (riferiti a quella data) di crescita, sopravvivenza e riproduttività, secondo le proiezioni pubblicate nel 2019 e nel 2024, solo cinque anni distanti (WPP2019 e WPP2024), verificando così le aspettative, prima e dopo la pandemia. Per quanto riguarda la riproduttività (numero medio di figli per donna), è evidente che si ritiene oggi (2024) che i livelli nel 2050 saranno sensibilmente inferiori a quelli previsti nel 2019: per l’Europa era attesa una certa ripresa a 1,75 figli per donna, valore corretto in 1,51, all’incirca uguale al livello attuale; per l’Africa sub-Sahariane le attese segnavano 3, ridimensionate a 2,7. Tuttavia il disallineamento più forte tra le proiezioni riguarda la Cina, per la quale si prevede oggi un numero medio di figli per donna nel 2050 pari a 1,19, di circa un terzo inferiore all’1,75 previsto nel 2019. Stringendo al massimo: in cinque anni sono evaporate le speranze di una ripresa della riproduttività in Europa e soprattutto in Cina, dove il governo, dopo aver abolito la barbara politica del figlio unico, ha incoraggiato le nascite del secondo figlio e, ultimamente, anche del terzo.
Per quanto riguarda la speranza di vita, nonostante l’esperienza della pandemia di Covid, le aspettative, oggi come cinque anni fa, sono di un continuo progresso (nel mondo si passerebbe dai 73 anni di oggi ai 77 del 2050, con un guadagno medio di oltre due mesi per ogni anno di calendario). Ottimismo a mio parere eccessivo: l’esperienza pandemica, l’indebolimento della sanità pubblica in diverse aree del mondo, i segnali (per ora sporadici) che l’estensione della longevità stia frenando, consigliano maggior prudenza. Quanto detto vale a livello globale: nello specifico, emergono difformità tra WPP2019 e WPP2024, per quanto riguarda la Cina e l’India. Per la Cina c’è stata una fortissima correzione al rialzo della speranza di vita nel 2050 (83,5 anni invece di 75), per la seconda una cospicua revisione al ribasso (77,7 invece di 81,9). Le difformità nelle ipotesi di andamento di fecondità e mortalità si riflettono nella popolazione del 2050: per la Cina 140 milioni in meno, per l’India 40 in più. A rendere più incerto il futuro sta il fatto che le stime dell’India si appoggiano su un censimento oramai lontano (2011), dato che quello programmato per il 2021 è stato spostato al 2025, per complesse vicende epidemiologico-politico-amministrative.
Umanità col motore al minimo
Il motore dell’umanità -sotto il profilo numerico- è la riproduttività. Questo motore è oramai al minimo, in un crescente numero di paesi. Nel 2024, delle circa 200 popolazioni incluse nel WPP24, 63, con il 28% della popolazione mondiale, avevano già raggiunto il loro massimo storico e iniziato una discesa. Tra queste, la Cina, la Federazione Russa, il Giappone, la Germania e l’Italia. Altre popolazioni seguiranno nei prossimi decenni, fino al 2084, quando l’intera popolazione del mondo inizierebbe a scendere -il condizionale è d’obbligo. Tranne che in Africa, negli altri continenti (e in Cina e India) la riproduttività nel 2050 sarebbe inferiore a due figli per donna, livello di rimpiazzo. Nei sei maggiori paesi europei, e in Svezia, dal 1990 al 2023, orientati al ribasso nell’ultimo decennio.
Insomma, l’umanità tiene il motore al minimo in quattro dei cinque continenti; premere sull’acceleratore mediante generose politiche di welfare può migliorare il funzionamento della società, ridurre le disuguaglianze, generare benefici di vario genere: ma non aspettiamoci granché in termini numerici. È difficile andare contro lo spirito dei tempi, lo zeitgeist, quando vengono prese le decisioni riproduttive. E queste sono orientate al ribasso ovunque, con ambienti naturali, climi, ricchezze, religioni, culture, sistemi di governo diversissimi. Anziché farsi spaventare dallo spauracchio del declino, è necessario affrontarne le conseguenze e pensare a come adattarsi a contesti meno popolosi e più invecchiati. Senza dimenticare che popolazioni più piccole -alla lunga- possono anche generare benefici. E se tra questi ultimi pensate a quelli ambientali, ebbene, avete indovinato!
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