La comunità sikh in Gran Bretagna ha inaugurato un tribunale sikh (https://www.sikhcourt.co.uk) che si occuperà di diritto di famiglia per sikh pur, dicono, rispettando le leggi nazionali, ma conformi alle tradizioni e alla cultura della comunità. Pragna Patel, avvocatessa, una delle fondatrici delle Southhall Black Sisters (fondato nel 1979 contro ogni forma di violenza contro le donne, https://southallblacksisters.org.uk/) e di “Women against Fundamentalisms” lancia l’allarme  sul danno che questo porterà alle vite e ai diritti delle donne e dei bambini sikh (https://justice.org.uk/pragna-patel/). Il nuovo tribunale è stato aperto in base alla legge britannica sull’arbitraggio? (Arbitration Act 1996) e il comunicato delle Southall Black Sisters sostiene che aumenterà la violenza contro le donne, essendo uno degli obiettivi dichiarati (https://southallblacksisters.org.uk/news/joint-statement-on-the-the-sikh-court/) quello di salvare i matrimoni sikh mantenendo le famiglie intatte e riducendo i tassi di divorzio, evitando così il ricorso ai tribunali laici. Insomma, invece di una legge uguale per tutti/e adesso una legge per ogni comunità? Una legge che identifica la comunità quasi sempre con la sua parte più tradizionalistica e retriva, come se i/le cattolici dovessero essere processati da vescovi reazionari che vieterebbero aborto, divorzio e contraccezione (per non parlare di diritti gay), e i/le musulmani giudicati dalla shari’a, pur abitando tutti/e sullo stesso suolo. Lo stato nazionale si è affermato anche come zona di uniformità legale, lo spazio laico all’interno del quale negli ultimi cento anni le donne hanno potuto ottenere e difendere diritti uguali tra di loro e diritti nei confronti dei maschi. Vogliamo forse che ognuno/a sia giudicato secondo i dettami più retrivi della comunità di nascita, un multiculturalismo di gabbiette comunitarie in cui far ballare le donne e i bambini perché soddisfino i maschi?