Libertà e diritti
discussioni

Una Città n° 312 / 2025 luglio-agosto
Articolo di Vicky Franzinetti
Libertà e diritti
Le università americane urlano per la libertà di pensiero: giustissimo, ma pochi fanno notare che sono università private (Harvard, Columbia, Princeton, Yale, Mit, Caltech), mentre quelle statali o pubbliche stanno zitte. Un’altra questione riguarda la diversità su cui si basa il modello delle pari opportunità e delle quote: per appartenere a uno dei gruppi che viene misurato (per genere, per scelta sessuale, per etnia, ecc.) si deve formare un gruppo. Ovvero, per dire che gli asiatici-americani in media guadagnano più degli afro-americani bisogna aver definito i gruppi e chi vi appartiene, cosa problematica poiché, per esempio, spesso, se non sempre, gli afro-americani hanno molto sangue bianco e io non assumerei la definizione razzista che un goccio di sangue nero ti rende afro-americano. Se i gruppi danno origine a diritti e non semplicemente a identità differenti a mio parere si creano guai: a questo punto la persona è diventata il membro di un gruppo e non più un cittadino/a. Si presuppone che gli appartenenti a tutti i gruppi otterrebbero lo stesso risultato nello studio, nel lavoro e nel reddito se non ci fosse oppressione, e quindi si inverte l’equazione partendo dal risultato e sostenendo che debbano essere compensati per lo svantaggio storico. Penso che le azioni positive e le pari opportunità (che si basano su quell’assunto) possano servire per un periodo limitato a rompere delle barriere, ma che successivamente creano problemi più di quanto non ne risolvano. Prendiamo il caso delle università private negli Usa: Harvard (circa 100.000 dollari all’anno di tasse e college, e poche borse se non nei post laurea dove ve ne sono molte) ammette studenti di gruppi “svantaggiati” con punteggi più bassi. Ma non è detto che quella determinata persona sia più svantaggiata rispetto a, che so io, un bianco povero degli Appalachi. Se è per quello, Oxford e Cambridge, essendo il centro di un impero, da sempre prendono persone privilegiate dei paesi in via sviluppo, e così facevano Les Ecoles francesi o l’Ena. Salvo qualche eccezione, gli studenti che entrano nelle grandi università private per la prima laurea sono benestanti o ricchi. Harvard prevedeva anche sessioni di laurea aggiuntive segregate per etnia (razza?), anche se volontarie -le chiamano “per affinità”, ma ricordano molto la segregazione razziale- che sono state abolite alla fine di aprile. Ovviamente non erano permesse quelle per bianchi (sarebbe stato razzista) ma per afro-americani, asiatici, Lgbtq+, persone a basso reddito e prima generazione sì. Se ci vediamo solo con quelli/e affini è negativo, e non sorprende che ci sia una polarizzazione, soprattutto in un’università, dove si spera che lo scambio di idee sia al massimo. Ciò detto, Trump vuole imporre la sua ideologia in cambio dei finanziamenti. Considerando che Harvard ha un fondo di sessanta miliardi di dollari, forse per sentirsi libera potrebbe anche arrangiarsi e non chiedere nulla allo stato. Pare invece che si voglia essere liberi e nutriti. La politica di Trump è tremenda ma per ora ha successo perché si basa su falle molto grosse del passato. Più grave di quello all’università, che tocca la classe media e i convegnisti, mi pare che l’attacco a Nih, Fda e Cdc (sanità), all’Epa o Osha (sicurezza sul lavoro) e le crescenti voci sul taglio all’assistenza (Medicaid, la sanità per gli indigenti) o addirittura alle pensioni (un po’ come la legge Fornero), la chiusura di biblioteche e di corsi di alfabetizzazione siano molto peggio: toccheranno la vita e la salute di milioni di persone al di là delle discussioni su Doge e quanto ha risparmiato o meno.
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