Una prima versione di questo scritto è stata pubblicata parzialmente nel numero di luglio-agosto di Ha Keillah (organo del gruppo di studi ebraici), un bimestrale ebraico torinese aperto alla discussione che io e molti dei miei amici leggiamo da anni.
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Il primo punto da affrontare è dunque quello dell’antisemitismo. È giusto che tutti, ebrei e non ebrei, stiano bene in guardia contro un mostro che può sempre risorgere. Ma proprio per questo bisogna saperlo riconoscere e distinguere da qualcosa di diverso, che magari va in una direzione totalmente opposta, come una critica costruttiva o una preoccupazione per un’azione non condivisa. Anna Segre ha il merito di aver fatto sul numero di aprile di Ha Keillah un discorso molto sottile e articolato al riguardo. Elenca molti comportamenti che sembrano antisemiti ma possono non esserlo, o viceversa (per esempio, sostiene che può non essere antisemita chi nega a Israele il diritto di esistere, mentre chi è antisionista è senz’altro antisemita. Su quest’ultimo punto avrei qualche obiezione, ma non è il caso di discuterne qui).
Il primo esempio che cita è quello che m’interessa: “Bollare di antisemitismo ogni critica verso Israele o la politica di un suo governo … è scorretto”. Riferito a un altro paese, sarebbe un’ovvietà: non si è anti-italiani se si è contro il governo Berlusconi. Ma riferito a Israele ha un senso, perché controbatte uno degli slogan funesti che avvelenano la discussione e la pratica politica in quel paese e in tutto il mondo. Si insinua che se critichi la politica di Sharon sei dalla parte dei nemici di Israele, cioè di chi vuole distruggerla e “buttare a mare” tutti gli israeliani, dunque sei un terrorista o un filoterrorista antisemita. Secondo questa logica, tutti i palestinesi evidentemente sono terroristi, e si può trattarli senza pietà. Il risultato è inculcare paura, odio, diffidenza. Forse tutto ciò ha qualcosa a che fare -certo non da solo- con la timidezza con cui i paesi europei e l’Onu protestano contro atti anche gravi del governo d’Israele, senza arrivare mai a decidere provvedimenti o sanzioni che possano ottenere un effetto concreto.
Io affermo al contrario che chi tiene davvero a Israele non è indulgente verso i suoi errori e non li copre, ma li denuncia e cerca di correggerli, per far sì che Israele sia sempre più quel paese giusto e degno di rispetto che avevano in mente i suoi primi costruttori. I refusenik tengono certamente di più a Israele, e ai suoi principi più nobili, di Sharon che li calpesta ordinando la distruzione indiscriminata di case, le “uccisioni mirate” senza processo, le punizioni collettive e i ripetuti innumerevoli massacri di popolazione civile. Chi giustifica queste azioni come una “dura necessità” della lotta al terrorismo forse non si rende conto dell’inconsistenza del pretesto addotto e del fatto che esse in realtà rafforzano le forze estremistiche palestinesi, favorendo soltanto chi vuole chiudere ogni possibilità di trattativa.
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Israele sì, la politica che conduce da molti anni no: questa è la mia posizione. Nonostante la grande spinta ideale e la tragedia che hanno presieduto alla nascita di Israele, i suoi fondatori ...[continua]
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