Per la prima volta la Corte Penale Internazionale dell’Aia ha emesso mandati d’arresto per supposti crimini di guerra contro un primo ministro e un ministro della difesa eletti democraticamente in libere elezioni. Da israeliano che partecipa alle elezioni politiche mi sento responsabile io stesso e indirettamente accusato assieme al Netanyahu e al Galant, anche se sono da sempre all’opposizione e partecipo attivamente alle manifestazioni contro il governo d’estrema destra. Il fatto che neppure dopo il pogrom terribile di Hamas del 7-10-2023 e il crollo totale del sistema difensivo e civile non siamo riusciti a far dimettere il governo Netanyahu e a portare al potere una maggioranza alternativa, rende tutti noi israeliani complici di fronte alle accuse se, per lo meno all’interno d’Israele, il gioco democratico è ancora libero, pur minacciato da riforme autoritarie e totalitarie.
L’unica attenuante potrebbe essere l’ipocrisia del mondo intero che non ha espresso accuse simili contro governanti di grandi potenze occidentali, come gli Usa e la Gran Bretagna per le loro guerre micidiali in Irak, Afganistan e l’Isis, come a Falluja, Mosul e Raqqa, o contro dittatori come Assad per la repressione sanguinosa della rivolta civile in Siria -che hanno lasciato più morti, affamati, feriti, sfollati, profughi che non l’attuale guerra a Gaza e in Libano, sia in assoluto, sia relativamente alla popolazione coinvolta, sia in triste proporzione rispetto alle vittime israeliane e alla pioggia ininterrotta di missili sulla nostra popolazione civile in tutto il paese.
Certo non è onorevole essere accusati assieme a Putin e ai defunti Milosevic e Gheddafi. Ma questo non vuol dire che si tratti d’antisemitismo, come dice Netanyahu, comparandosi a Dreyfus. Accusa adottata da tutti i partiti ebraici in Israele, anche dell’opposizione, dato che non possiamo ammettere di essere divenuti ormai l’ultimo esempio e simbolo attuale del colonialismo e dell’apartheid.
Del resto Israele ha sfruttato troppo a lungo l’indulgenza e l’impunità per ogni sua azione, in seguito all’Olocausto, essendo indentificata con le vittime del più orrendo crimine dell’umanità. Il vittimismo è diventato una nostra caratteristica, anche dopo aver creato uno dei migliori eserciti del mondo. Così abbiamo demonizzato i palestinesi, gli arabi, l’Iran e l’Islam intero come se tutti fossero terroristi, malgrado l’esempio durevole della pace con l’Egitto e la Giordania che persiste da decenni e i rapporti con gli Emirati, il Bahrein e indirettamente anche con l’Arabia Saudita. Questo vittimismo è una delle leve che Netanyahu usa per mantenersi al potere, sostenuto da una base elettorale d’origine orientale e povera (al suo contrario) che s’identifica con lui, proprio quando si presenta come vittima dell’opposizione, della magistratura, delle vecchie élite, del mondo accademico e adesso anche della Corte Internazionale dell’Aia. Così da un anno siamo bloccati sul pogrom spaventoso di 1.200 assassinati, 250 ostaggi, stupri, incendi e distruzione di villaggi agricoli e di quartieri residenziali: Hamas non solo ci ha sorpreso, sbriciolando l’illusione della sicurezza che lo stato degli ebrei, sognato dal sionismo, avrebbe dovuto dare a quanti fuggiti dall’antisemitismo europeo, ma anche ci ha rinnovato lo status dell’ebreo perseguitato da gente assetata di sangue. Questo è stato il vero successo di Hamas, che non ha pietà della popolazione palestinese: esasperare la nostra vendetta da vittime ultimative irrevocabili sulle spalle dei due milioni di abitanti della striscia di Gaza, per lo più profughi già dal 1948, per cui la grande maggioranza in Israele non riesce ad avere la minima empatia umana. Tra l’altro, questo è dovuto anche al fatto che i media locali non fanno vedere nulla delle distruzioni e delle condizioni inumane prodotte dalla vendetta e dalla caccia ai terroristi. Infatti la partecipazione mondiale al dolore delle vittime del pogrom si è trasformata in brevissimo tempo in identificazione con le vittime dei bombardamenti a tappeto, inclusi i terroristi di Hamas, nelle dimostrazioni ProPal sotto lo slogan “Dal fiume al mare Palestina libera”. Slogan che rinnega la realtà di dieci milioni di israeliani in Terra Santa e il loro diritto alla vita e alla sicurezza. Del resto solo adesso, e non nel pogrom, si devono riconoscere nei combattenti rimasti tra le rovine di Gaza contro le forze armate israeliane, i valori della Resistenza, misti però al fanatismo e alla negazione totale del prossimo, l’ebreo.
Detto tutto ciò, cosa si può dire dei crimini di guerra, supposti o reali, di cui sono accusati Netanyahu e il ministro della difesa, da lui licenziato perché assieme ai generali voleva terminare la guerra con l’accordo per liberare gli ostaggi? In Israele si crede che l’esercito sia il più morale al mondo, dato che ordina ai civili di evacuare le case, i quartieri, le scuole rifugio, gli ospedali o le zone abitate, prima di bombardarle o entrarci coi carri armati e i soldati per snidare i terroristi lì appostati o nascosti nelle gallerie scavate nei sotterranei. Per colpire i dirigenti di Hamas e di Hezbollah sono stati colpiti molti civili tra cui questi si nascondevano. Nelle zone cosidette “sicure” per i civili sfollati l’esercito permette ad alcune organizzazioni internazionali di introdurre cibo, acqua, benzina e medicinali, che spesso però cadono in mano al Hamas, dato che Israele non ha permesso la formazione di un’amministrazione civile alternativa.
Nel Nord della Striscia l’esercito continua a sfollare i civili verso il sud, impedendo rifornimenti umanitari, per fare pressione alla liberazione dei 101 ostaggi ancora in mano ai terroristi e per perseguire, con meno rischi ai soldati e meno vittime civili, i resti di Hamas che oppongono guerriglia effettiva, anche se sono rimasti isolati. E la destra messianica si prepara già a fondare colonie ebraiche nelle zone evacuate!
Un esperto israeliano di storia militare ha calcolato che il rapporto dei morti tra soldati israeliani e civili palestinesi è a Gaza 1/68, molto più alto dell’1/56 registrato dagli americani nella loro più sanguinosa battaglia dopo il Vietnam, nel 2004 a Falluja nell’Iraq. Ciò vorrebbe indicare che Israele si permette di mettere in pericolo la popolazione civile a Gaza, considerata tutta coinvolta nel fanatismo islamico sanguinoso, in quanto sarebbe “legittimo” secondo il diritto internazionale. In un paese veramente democratico e non etnocentrico come Israele, si dovrebbe esaminare le accuse attraverso meccanismi civili indipendenti dal governo, come una commissione d’inchiesta autonoma e la magistratura, per poi portarne i risultati a giudizio del Parlamento e poi dell’elettorato. Ma qui non siamo neppure riusciti a far nominare una commissione d’inchiesta per l’attacco a sorpresa e il disastro del 7 ottobre. Quindi non possiamo neppure sostenere che le accuse di crimini di guerra sarebbero esaminate e giudicate all’interno del paese. La grande maggioranza degli israeliani rifiuta a priori le accuse considerandole forme di antisemitismo e manovre della politica internazionale, mentre noi, pochi, siamo disperati perché responsabili, pur all’opposizione, della sciagurata deriva militarista e amorale dello Stato degli ebrei, nato dalle ceneri dell’Olocausto: proprio noi ci troviamo all’ombra di accuse di compiere azioni di genocidio, di trasferire e affamare una popolazione inerme, di aver causato decine di migliaia di vittime, anzitutto anziani, donne e bambini! Proprio noi che avremmo dovuto santificare il precetto “Mai più” non solo riguardo agli ebrei, ma per tutta l’umanità.
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Aver rinnovato lo status dell’ebreo perseguitato, il vero successo di Hamas, che ha così scatenato una vendetta spietata; il vittimismo di uno degli eserciti più potenti al mondo e la demonizzazione di tutti i palestinesi; la disperazione davanti ai crimini commessi proprio da coloro che avrebbero dovuto santificare il precetto “Mai più”. Di Rimmon Lavi, da Gerusalemme.
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