Cari amici,
quando ero piccola, ricordo che c'era una sedia che nessuno di noi avrebbe mai usato, anche quando tutte le altre sedie della stanza erano occupate. Era quella, vicino al fuoco, su cui sedeva nostro padre quando tornava dalla consegna del latte, il suo lavoro. La stessa regola non valeva per la sedia di mamma, dall'altra parte del camino, anche se quando entrava lei la lasciavamo sempre libera. Accanto a questa dimostrazione dello status e della gerarchia patriarcale dei luoghi c'erano le aspettative sul mio ruolo di figlia. Uno dei nostri doveri era quello di accendere il bollitore e preparare il tè, questo fin da piccole, e molte volte al giorno. Ricordo che, da adulta, al ritorno da un viaggio all'estero durato sei mesi, appena messo piede in casa dei miei genitori, prima ancora di aver posato lo zaino mi chiesero se potevo accendere il bollitore e preparare una tazza di tè. Questo era, e lo è tuttora, un modo tutt’altro che sottile per far capire a una persona quale sia il proprio posto. Il fulcro della questione è il riconoscimento o, per meglio dire, il modo in cui una donna viene percepita.
Non era l'unica dimostrazione quotidiana di gerarchia. Un'altra era la divisione del cibo: i maschi della famiglia ricevevano più cibo e, se avanzava qualcosa, erano sempre loro a prenderlo per primi. Per le ragazze non c’erano mai avanzi. Questo si riflette in molte altre società: in alcuni luoghi le donne mangiano dopo gli uomini, o separatamente, in cucina, e solo con ciò che avanza.
Crescere superando questi input, avendo i cervelli progettati per anteporre i bisogni di tutti ai propri e permeate di un senso di inutilità predesignato non è stato facile; peraltro, va detto che nel Regno Unito siamo in una situazione migliore rispetto alle donne di molti Paesi del mondo. Pensiamo all'Afghanistan, dove i talebani hanno costretto le donne a una posizione di silenzio, e dove il 68% delle donne riferisce di patire una salute mentale di “malessere” o “grave malessere” (fonte: Nazioni Unite). Eppure queste donne coraggiose non si arrendono, nemmeno per un momento. Abbiamo fatto un po' di strada, eppure, nonostante tutte le nostre conquiste...
Da sempre le donne lottano per un cambiamento della mentalità e perché siano loro riconosciuti i diritti umani. Spesso abbiamo pensato di aver fatto passi avanti, senza immaginare che potevamo anche essere ricacciate nell'ombra… un’ombra di tipo medievale.
Forse è questo che si nasconde dietro una pletora di poesie sulle streghe e al recupero della parola “hag”, “befana”.
Non conosco nessuna donna che immaginasse che avremmo dovuto continuare a lottare per conservare i diritti acquisiti o per compiere progressi a beneficio delle donne di tutto il mondo. La verità, però, è che in troppi angoli della Terra le donne e le ragazze devono fronteggiare minacce inconcepibili e sempre crescenti.
Il tema di quest’ultima Giornata internazionale della donna è stato “Accelerare l’azione” -al momento, sembra che ci servirà un salto in avanti di secoli per colmare il ritardo accumulato e raggiungere un qualche tipo di parità. Il brutale sfoggio di forza cui assistiamo negli Usa ci sta portando, piuttosto, indietro nel tempo, e ovunque i problemi vanno acutizzandosi. Pensiamo alle donne giustiziate in Iran, alle sofferenze esistenziali patite da quelle di Gaza, Cisgiordania, Ucraina, Sudan e Repubblica Democratica del Congo. L'impatto della svolta geopolitica compiuta dagli Stati Uniti è un fenomeno di cui abbiamo appena cominciato a percepire le conseguenze, ma che ci promette livelli di sofferenza spaventosi tanto per le donne quanto per i loro figli. Mi verrebbe da dire “che Dio ci aiuti”, ma a ben pensarci siamo noi, che dobbiamo aiutarci a vicenda. La solidarietà è tornata di moda, e abbiamo bisogno che sia globale. Serve che questa parola, “solidarietà”, torni d’uso quotidiano.
Nel Regno Unito, ogni anno, la deputata laburista Jess Philips (che Elon Musk ha definito “una strega cattiva”), si alza in piedi alla Camera dei Comuni e legge un elenco di donne uccise da uomini nell’ultimo anno. Quest'anno erano 95. È un compito ingrato, ma lei lo svolge da dieci anni; ogni volta il totale può variare, ma non di molto. Secondo il Femicide Census, nel Regno Unito viene uccisa una donna ogni tre giorni. Ci sono, poi, le innumerevoli altre che tentano il suicidio a causa degli abusi subiti, e alcune ci riescono.
Il danno sulle famiglie delle donne che subiscono questi ...[continua]

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