Ho trovato mortificante leggere su Una Città del febbraio 98 l’intervista a Gianni Tamino sulla sperimentazione animale. Ma come è possibile che un giornale solitamente intelligente accetti in modo acritico delle posizioni così irrazionali, disinformanti, contraddittorie e settariamente allineate a quell’invadente conformismo che crede in una natura sempre buona da contrapporre a una società sempre cinica e perversa? A fronte di tutti i problemi veri (filosofici, politici, pratici) che pure esistono riguardo alla sperimentazione animale, Tamino sceglie di usare il più ingenuo degli argomenti, e cioè sostiene che la sperimentazione è inutile (anzi dannosa) perché l’animale è diverso dall’uomo.
Pare incredibile, ma la posizione di Tamino è davvero tutta in questo gioco di parole, si basa cioè sull’ovvia diversità fingendo di ignorare le ben più rilevanti somiglianze.
Per cominciare dal titolo ("L’animale mangia la cicuta"), Tamino e il redattore che ha registrato le sue rivelazioni dovrebbero leggersi qualcuno dei preoccupati rapporti scientifici ("scienza ufficiale", ammetto spudoratamente) che descrivono i danni rilevanti causati al patrimonio zootecnico dall’ingestione occasionale di cicuta da parte del bestiame (ad esempio, J. Anim. Sci. 66: 2407 del 1988).
Con grande disinvoltura, Tamino definisce come "evidentemente falso" il "modello meccanicistico" che studia l’animale per capire l’uomo. Ma il punto è proprio qui: che il ricercatore sa benissimo che sta usando un modello, anzi ne è così consapevole che non si fiderebbe mai di un modello solo, ma cerca di esplorarne sempre molti (e più diversi che sia possibile) in modo da poter ricavare il nòcciolo del meccanismo che gli interessa analizzando criticamente quelle concordanze che appaiono sempre più evidenti man mano che si sfrondano di tutte le discordanze dovute appunto alla diversità dei modelli.
Discordanze magari importantissime per capire altri meccanismi, ma da mettere di volta in volta in secondo piano a seconda del fenomeno che si sta studiando. Così il ricercatore userà modelli che vanno dalla simulazione al computer alle mescolanze di molecole singole (ad es. enzimi e substrati) in una provetta, ai più complessi sistemi cell-free (estratti che contengono tutti i componenti cellulari, ma non contengono cellule intere), alle colture di cellule in vitro, allo studio di tessuti o organi isolati, a modelli di virus e batteri, ai modelli animali più semplici (ad es. rane o moscerini), ai piccoli roditori (topi e ratti), fino agli animali più grandi e più complessi.
Solo quando dai dati raccolti sarà venuta fuori quella concordanza di fondo sul fenomeno che si stava investigando, solo allora si potrà pensare di passare all’uomo. Tutto questo è un procedimento lungo, complesso e costoso, ma non è "folle"; folle sarebbe invece far ciò che suggerisce Tamino, cioè sperimentare direttamente sull’uomo saltando tutti o alcuni dei passi precedenti. Può non essere facile per il cittadino non specialista apprezzare sino in fondo la complessità della ricerca; ma la caricatura proposta da Tamino dello scienziato sciocco che fa l’esperimento su una certa specie animale e poi pretende di applicarlo all’uomo, non si trova ormai più nemmeno sulle pagine di Topolino.
Il ruolo della sperimentazione animale nella ricerca biologica è assolutamente fondamentale ed è destinato a rimanere insostituibile ancora per molto tempo. Ci sono, schematicamente, almeno tre tipi di utilizzo degli animali sperimentali. Un piccolo numero di animali servono per la didattica e l’apprendimento (si pensi alle esercitazioni di un chirurgo). Un’altra utilizzazione importante è quella per la ricerca di base: nessuna delle conquiste della medicina sarebbe stata possibile senza il supporto e l’alimento costante dei progressi che le discipline di base hanno compiuto negli ultimi decenni. Questo progresso è quasi totalmente basato su modelli sperimentali che traggono ragione dalla sostanziale unitarietà dei processi della vita.
Oggi tutti (compreso il Papa) riconoscono la validità dei concetti dell’evoluzione, secondo i quali da un unico disegno originario della vita si sono poi differenziate le varie specie: ecco perché i meccanismi fondamentali sono gli stessi per un batterio e per un elefante, tanto è vero che geni (cioè pezzi di Dna) di un elefante funzionano perfettamente se introdotti in un batterio. Naturalmente le somiglianze sono tanto più forti quanto più vicine sono l ...[continua]

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