Dal libretto ciclostilato Per non dimenticare preparato per l’8 marzo di quest’anno.
Capelli scuri su un viso minuto, degli occhi ridenti, un accento dell’est algerino pronunciato, degli aneddoti a palate... Era tutto questo quando ha cominciato la professione di giornalista. Ma non lo era più quando è stata costretta a lasciarci lo scorso agosto... Nell’orrore più totale. Naima Hammouda è stata assassinata il 2 agosto 1995 a Saoula (a pochi km da Algeri, ndr). Inaccettabile la notizia che ha annunciato la tua morte, Naima. Impossibile credere che ormai non sarai più che un ricordo, che i verbi per evocarti potranno essere coniugati solo al passato. Come abituarsi alla tua assenza, come risolversi a non aspettare più le tue visite in redazione sempre fresche e piene di notizie? Sei stata sorpresa a casa tua, a Saoula, ultimo rifugio dove di certo stavi meditando dei piani per realizzare il tuo vecchio sogno di studiare cinema. Sei stata sorpresa da dei gelosi, pieni di odio per te, per la tua professione, per il cinema e per la vita. Sono dei nemici di dio, poiché si sono sostituiti a lui per falciarti la vita. Hanno violentato il tuo spazio per assassinarti, per piantarti tre pallottole nel petto. Terrorizzata, hai avuto come armi solo le tue grida che, stridenti o no nessuno lo sa, si volatilizzavano prima di fare eco contro i muri che si richiudevano inesorabilmente attorno a te. Come avresti potuto combattere i tuoi aguzzini, resistere alla loro sete di sangue quando, tagliata dal mondo, supplicavi sola, agonizzavi sola? Partendo, i terroristi ti hanno coperto la testa con un velo, come se il tuo viso senza vita non avesse ancora appagato la loro rabbia di seminatori di morte. Il tuo corpo è stato ritrovato solo 11 giorni dopo il misfatto. Tu che hai sempre avuto paura della solitudine, sei morta sola. Non pensava di essere sulla lista dei giornalisti da abbattere: «Non ho paura dei terroristi. Non partirò tanto presto. Avete forse dimenticato i miei studi di cinematografia? Non sono che all’inizio della mia carriera.», diceva dall’alto dei suoi trentun anni. Naima aveva una tale voglia di vivere che sembrava eterna. Questa piccola donna appena uscita dall’Istituto di Lingue Straniere, nel 1991 aveva lasciato la sua cittadina natale per Algeri dove si prefigurava di vivere una delle più belle avventure della sua vita: la stampa. Per suo tramite, diceva, avrebbe scoperto una nuova vita, la comunicazione, e soprattutto una libertà d’espressione troppo a lungo confiscata. Scegliendo la rubrica culturale aveva potuto dar libero corso alla sua passione lanciandosi nel mestiere con un vigore veramente giovanile. I suoi soggetti preferiti erano il teatro e il cinema. La sua intervista a Abdelkader Alloula, un’altra vittima del terrorismo cieco, un’altra perdita secca per il mondo della cultura, resterà una referenza negli annali della stampa. Naima è stata una delle rare giornaliste algerine a “vivere” il festival di Cannes. Al ritorno era come trasformata, aveva avvicinato i grandi della settima arte, aveva “toccato” il cinema. Forse perché troppo innamorata della propria libertà, Naima dovette affrontare numerosi ostacoli durante la sua vita professionale, errando da una redazione all’altra. Paradossalmente, questo non la scoraggiava, non le impediva di continuare a battersi per imporsi e affermarsi. Aveva un carattere molto forte. Quando la situazione iniziò a degradarsi seriamente, quando i giornalisti divennero, in nome di una logica barbara, dei bersagli privilegiati per i terroristi, una questione si impose alla categoria: partire sotto dei cieli più clementi o restare al paese a dispetto di tutti i pericoli? Naima espresse chiaramente il desiderio di vivere in Algeria, anche nel dolore, diceva. Cominciò allora la delicata e pericolosa missione del giornalista versione “terrorismo”. A rischio di sorprendere, Naima la viveva serenamente, come armi il suo coraggio e la sua fede. Non cambiò le sue abitudini, firmava sempre col suo nome o con delle iniziali facilmente riconoscibili, anche se il terrorismo la condannava a una vita da bestia braccata. C’era tuttavia il problema dell’alloggio, che emergeva sempre nei suoi discorsi e oscurava i suoi orizzonti. Non ebbe mai diritto ad un alloggio di sicurezza come altri colleghi, perché non ebbe il tempo di essere immessa nei ruoli di un qualsiasi giornale, dopo esserlo stata in quelli de Le Matin all’inizio della carriera. Affitto, alloggio presso le amiche, ecco a cosa fu obbligata. La sua fierezza ne risentiva, ma mi confidava che «
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continua]
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