Il primo pezzo del muro di Berlino cadde a Sopron, una piccola città ungherese al confine con l’Austria, il 19 agosto di cinque anni fa: 82 giorni prima del 9 novembre 1989.
A vibrare il colpo d’ariete -la circostanza è poco nota- fu la giovane granduchessa Walburga von Absburg, discendente della Casa d’Austria. L’occasione fu un picnic sul confine austro-ungherese, organizzato dall’Unione Paneuropea di Otto von Absburg, per festeggiare una ritrovata amicizia: nella primavera di quell’anno il governo ungherese, insieme alla completa libertà di viaggiare concessa a tutti i cittadini, aveva deciso la revoca di un antico decreto che dichiarava “persona non grata” nella Repubblica Magiara ogni membro della famiglia imperial-regia degli Asburgo. Il pic-nic doveva essere un incontro tra amici austriaci e ungheresi, ma all’appuntamento si presentarono anche 661 cittadini della Deutsche Demokratische Republik che si trovavano a passare di lì. Walburga e i suoi amici non ne furono sorpresi. Fu la prima fuga di massa di tedesco-orientali in Occidente da dopo la costruzione del muro. L’afflusso di “turisti” tedesco-orientali in Ungheria era cominciato diverse settimane prima. La spinta l’aveva data l’8 giugno il delfino di Honecker, Egon Krenz, con un messaggio di solidarietà ai dirigenti cinesi per “il ripristino della sicurezza e dell’ordine mediante l’impiego delle Forze Armate”. Era un affronto aperto alla politica di Gorbaciov, e insieme una chiara promessa ai cittadini della Ddr di fare di Alexanderplatz una nuova Tien An Men. A questo scopo fu mandato a Pechino il generale Horst Brunner per conferire col suo collega Yang Bai Bing, che aveva guidato le operazioni sulla Piazza del Celeste Impero.
La fuga di Sopron innescò una reazione a catena. Il numero dei tedesco-orientali continuò ad aumentare di giorno in giorno. Di rientro dalle ferie in Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia, anziché verso casa si dirigevano in Ungheria. Alla fine di agosto erano più di 10 mila.
La reazione di Berlino Est agli avvenimenti di Sopron fu in linea col messaggio dei cinesi. “Il popolo tedesco non vi perdonerà ciò che è accaduto” dichiarò l’ambasciatore Gerd Vehres al Ministro degli esteri ungherese Gyula Horn presentandogli una nota di protesta. In essa si denunciava il mancato rispetto di un accordo bilaterale del 1969, che vincolava i due governi a far transitare i cittadini dell’altro stato solo verso i paesi che stavano scritti sul loro passaporto. A titolo di riparazione, la Ddr pretendeva il rimpatrio forzato dei tedesco-orientali che soggiornavano in Ungheria e minacciava la rottura dei rapporti diplomatici. Gyula Horn, che riferisce di questo colloquio, respinse seccamente l’ultimatum. “Né tu, né il tuo governo siete in condizione di profferire minacce” rispose a Gerd Vehres. Il 31 agosto Gyula Horn si recò personalmente a Berlino Est, per comunicare la decisione del suo governo: “l’accordo bilaterale sarà dichiarato decaduto in forza dei deliberati della Csce sui diritti umani, dalla mezzanotte del 10 settembre ogni cittadino della Ddr in territorio ungherese sarà libero di varcare il confine che vuole”. Il 9 settembre il governo ungherese informò ufficialmente anche le autorità sovietiche.
Fra l’11 e il 14 settembre, 15 mila tedesco-orientali arrivarono in Austria dall’Ungheria.
Clemente Manenti
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