In effetti si tratta di due proposte concettualmente assai diverse: il voto per famiglie e non per testa per i minori di 16 anni; l’abbassamento a 16 anni dell’età del voto. Sia Lerner che Fubini e Taino hanno parlato solo di aumento del peso dei giovani; di voto ai bambini; ma tutti capiscono che è solo pubblicità ingannevole. Sarebbero i genitori a votare per i figli bambini e adolescenti, con un voto in più tra i due genitori per ogni figlio adolescente, secondo Lerner; con un voto che pesa 1,2 per ogni genitore secondo Fubini e Taino. Mi ha stupito la mancanza di reazione a quello che è un vero e proprio sconvolgimento della base stessa delle Costituzioni e delle democrazie moderne: il concetto di cittadino elettore, uguale ad ogni altro cittadino, davanti alla legge e nel potere di determinarla attraverso i suoi rappresentanti.
Comincerei dalla parte, per me molto opinabile, ma non sconvolgente: l’abbassamento dell’età del voto. Quando i bambini diventavano adulti presto, cominciavano a lavorare legalmente a 13 anni e in pratica anche prima, li facevano votare a 21 anni. Ora che diventano adulti tardi, restano a casa dei genitori, non imparano un mestiere, entrano nella vita attiva dopo i vent’anni, li faremmo votare a 16. Certo, se lo facessimo, dovremmo abbassare la maggiore età a tutti gli effetti. È assurdo che si possa votare per il Parlamento e, indirettamente, per modificare la Costituzione, ed essere giudicati o difesi dal Tribunale dei minori se si ammazza qualcuno o si subiscono dei torti dalla famiglia. Chi ha il diritto di voto non può avere diritto alla messa alla prova se delinque; né può scontare la pena in un carcere minorile, fino a 21 anni. I diritti e i doveri devono andare di pari passo.
Ma è il voto per famiglie che scardinerebbe completamente la democrazia e la sostituirebbe con una governance in cui i cittadini non sono uguali, uno per uno, ma conta il ceto di appartenenza. Se sei un genitore con figlio minorenne conti di più. Non che questo non sia mai avvenuto. In Germania si è votato per ceto sino alla Repubblica di Weimar; in Algeria si vota per famiglie -i mariti possono votare per le mogli. Ma abbiamo sperato che fossero un passato che non ritorna o una alterità da cambiare.
Se mai si arrivasse a discutere davvero di un mutamento simile, che scardina l’intera Costituzione, bisognerebbe anche qui far viaggiare di pari passo diritti e doveri. Se i genitori conoscono così bene i figli da poterne esprimere la volontà politica con piena rappresentatività, ovviamente dovrebbero risponderne penalmente oltre che civilmente. Ora i minori sono cittadini senza diritto di voto perché non pienamente maturi. Domani avrebbero il voto incluso nella patria potestas. Ma chi decide per me deve rispondere per me di ciò che faccio.
In effetti la sola possibilità di una proposta come questa denuncia un mutamento profondo del modo dominante di concepire la convivenza civile e la democrazia. Siamo così abituati a vedere le cose più importanti decise a trattativa privata tra poteri, di questo Stato o di altri Stati; a pensare in termini di categorie di appartenenza -gli stranieri (che non votano), i giovani, i vecchi; le donne; i notai, i tassisti, i giornalisti; i membri della Casta; i pensionati ordinari, i pensionati d’annata, i pensionati Inpdap, i pensionati Inpdai (che ci costano sette miliardi l’anno perché hanno un sistema di conteggio molto favorevole, ma sono gestiti dall’Inps)- che non ci sembra strano che i vari gruppi umani siano pesati, secondo un qualche criterio contrattato, per qualsiasi decisione. Non ci sono le quote rosa, magari non rispettate? Non c’era la ponderazione a ridurre per il voto dei pensionati nei congressi Cgil, abolita nell’ultimo congresso? Non ci sono le azioni positive? Gli schiavi non contavano per una frazione di cittadino anche negli Stati Uniti? Se si dovessero sentire tutti in tutte le occasioni non si deciderebbe mai nulla. Per andare avanti bisogna sostituire la democrazia con la gov ...[continua]
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