Una Città n° 155 / 2008
Il vasto arcipelago indonesiano, costituito da 17.000 isole di varia estensione, rappresenta uno degli ambienti naturali di maggiore importanza a livello internazionale. Le innumerevoli isole che lo compongono sono ricche di risorse naturali, flora e fauna tra le più diversificate e rare al mondo.
La storia del paese evidenzia come i governanti, a partire dalla trentennale dittatura di Suharto, abbiano utilizzato queste caratteristiche naturali per finalità economiche e produttive, in primo luogo riguardo il petrolio che si trova al largo dell’Isola di Sumatra. Tuttavia la domanda energetica interna ha progressivamente impedito a Jakarta di divenire un rilevante esportatore di greggio, mutando la natura delle esportazioni di materie prime. Esse si concentrano ora su minerali preziosi come l’oro e sul legname pregiato. Inoltre la necessità, fattasi pressante da qualche anno su scala globale, di ridurre le emissioni inquinanti nell’atmosfera, ha spinto il paese asiatico ha produrre olio di palma in grande quantità. Per questa via si tenta di cavalcare il nascente settore dei combustibili non inquinanti o a basso tasso di emissioni, i quali vengono prodotti prevalentemente attraverso l’utilizzo di olio di palma. L’Indonesia mira a porsi alla testa dei produttori mondiali di questo olio vegetale, contando tanto sul clima favorevole quanto sul vasto territorio disabitato e ricoperto da foreste tropicali.
Una quantità crescente di foresta primaria tropicale viene disboscata ed il legno così ottenuto venduto legalmente o illegalmente sui mercati internazionali. In seguito il terreno viene adibito a piantagione di palme da olio, modificando in maniera grave e permanente l’ecosistema originario. La sequenza di queste due attività costituisce una forte attrattiva per gli investitori e per il governo indonesiano, entrambi interessati ai redditizi guadagni derivanti dalle due fasi dell’attività descritta. Essi collaborano dunque attivamente, ignorando le ricadute che lo sfruttamento e la scomparsa della giungla comportano sia in maniera diretta per l’ambiente, che indirettamente per l’aumento delle emissioni globali di anidride carbonica nell’atmosfera.
In questo quadro si inserisce poi la peculiare situazione politica ed istituzionale indonesiana. Tanto il governo centrale, guidato ora dal Presidente Bambang Yudhoyono, quanto le autorità locali non appaiono in grado di regolamentare efficacemente un settore in forte espansione e di grande importanza per l’economia nazionale. Nel contempo essi mancano di mezzi adeguati allo scopo di impedire attività di disboscamento non autorizzate.
Una parte significativa del legname frutto del forsennato disboscamento, è ottenuto da attività illegali perpetrate con sistematicità. Esse sono possibili grazie alle difficoltà legate ai controlli in un ambiente come la giungla tropicale nonché alla diffusa corruzione dei funzionari indonesiani, sia di alto che di basso grado istituzionale. La mancanza di trasparenza e la compiacenza governativa garantiscono agli investitori grandi concessioni nel Borneo e la contestuale “flessibilità” delle normative ambientali. Diviene così possibile abbattere molti più alberi di quanto stabilito ufficialmente ed esportarli attraverso le frontiere settentrionali con la Malaysia, le quali sono demarcate e presidiate in maniera approssimativa in quanto immerse nella foresta tropicale.
Ne risulta il rapido deterioramento di ecosistemi unici al mondo e la scomparsa di estese aree verdi che in precedenza ospitavano numerose specie animali, popolazioni tribali di origine molto antica ed assorbivano grandi quantità di gas serra.
In seguito al disboscamento il terreno interessato viene solitamente “pulito” dallo strato di terra umida profondo alcuni metri, il quale costituisce il sottobosco originario della foresta tropicale del Borneo. Esso si è formato nel corso di millenni attraverso l’accumulo di materiale vegetale, il quale decomponendosi ha costituito un terreno umido la cui profondità giunge fino a sei metri. Lo scopo della rimozione di questo strato in seguito al disboscamento, è quello di rendere il terreno asciutto ed adatto alla coltivazione industriale di palme da olio. In questo modo viene prodotto un duplice danno. Da un lato viene cancellato in maniera irreversibile l’intero prezioso ecosistema esistente in precedenza. Dall’altro lato si incrementano notevolmente le emissioni di gas serra nell’atmosfera. Infatti si stima che il terreno umido e ricco di batteri della giungla del Borneo assorba più anidride carbonica degli alberi stessi.
L’estensione delle aree concesse ad imprese private per il disboscamento del Kalimatan e l’insediamento di palme da olio è passata da 500.000 ettari negli anni ’90 del ‘900 ad approssimativamente 3,2 milioni ettari attuali: un incremento del 700% in un decennio, che classifica l’Indonesia come la nazione con il più rapido tasso di deforestazione al mondo. Continuando a questo ritmo la totalità delle aree occupate dalla foresta pluviale scompariranno entro 45 anni.
Risulta invece impossibile quantificare i territori sottoposti illegalmente allo stesso processo. Sommando le attività conosciute con quelle illegali e clandestine si stima che vengano eliminati ogni anno circa 2,5 milioni di ettari di foresta: l’equivalente di 300 campi da calcio ogni ora.
Più della metà del territorio indonesiano originariamente coperto dalla giungla tropicale è già andato perduto.
A causa del disboscamento, legale ed illegale, di enormi estensioni di giungla tropicale e della devastazione dei terreni ricchi di batteri, l’Indonesia è ora giunta ad essere il terzo stato al mondo per quantità di gas serra emessi nell’atmosfera (dopo Stati Uniti e Cina). Ciò avviene nonostante l’arcipelago indonesiano comprenda il 10% delle foreste pluviali mondiali e non abbia tanti impianti industriali di grandi dimensioni.
Nella giungla del Kalimatan sopravvivono molteplici specie animali: 2000 tipi di piante, 350 di uccelli e 200 di mammiferi. Non poche di esse sono in pericolo di estinzione, è il caso dell’orango, della tigre, del gibbone del Borneo e dell’elefante pigmeo. Il disboscamento, oltre a eliminare fisicamente la flora, priva gli animali del loro habitat naturale e ne causa inesorabilmente l’estinzione.
Michele Tempera
Indonesia
Stefano Rizzato - IndonesiaIl vasto arcipelago indonesiano, costituito da 17.000 isole di varia estensione, rappresenta uno degli ambienti naturali di maggiore importanza a livello internazionale. Le innumerevoli isole che lo compongono sono ricche di risorse naturali, flora e fauna tra le più diversificate e rare al mondo.
La storia del paese evidenzia come i governanti, a partire dalla trentennale dittatura di Suharto, abbiano utilizzato queste caratteristiche naturali per finalità economiche e produttive, in primo luogo riguardo il petrolio che si trova al largo dell’Isola di Sumatra. Tuttavia la domanda energetica interna ha progressivamente impedito a Jakarta di divenire un rilevante esportatore di greggio, mutando la natura delle esportazioni di materie prime. Esse si concentrano ora su minerali preziosi come l’oro e sul legname pregiato. Inoltre la necessità, fattasi pressante da qualche anno su scala globale, di ridurre le emissioni inquinanti nell’atmosfera, ha spinto il paese asiatico ha produrre olio di palma in grande quantità. Per questa via si tenta di cavalcare il nascente settore dei combustibili non inquinanti o a basso tasso di emissioni, i quali vengono prodotti prevalentemente attraverso l’utilizzo di olio di palma. L’Indonesia mira a porsi alla testa dei produttori mondiali di questo olio vegetale, contando tanto sul clima favorevole quanto sul vasto territorio disabitato e ricoperto da foreste tropicali.
Una quantità crescente di foresta primaria tropicale viene disboscata ed il legno così ottenuto venduto legalmente o illegalmente sui mercati internazionali. In seguito il terreno viene adibito a piantagione di palme da olio, modificando in maniera grave e permanente l’ecosistema originario. La sequenza di queste due attività costituisce una forte attrattiva per gli investitori e per il governo indonesiano, entrambi interessati ai redditizi guadagni derivanti dalle due fasi dell’attività descritta. Essi collaborano dunque attivamente, ignorando le ricadute che lo sfruttamento e la scomparsa della giungla comportano sia in maniera diretta per l’ambiente, che indirettamente per l’aumento delle emissioni globali di anidride carbonica nell’atmosfera.
In questo quadro si inserisce poi la peculiare situazione politica ed istituzionale indonesiana. Tanto il governo centrale, guidato ora dal Presidente Bambang Yudhoyono, quanto le autorità locali non appaiono in grado di regolamentare efficacemente un settore in forte espansione e di grande importanza per l’economia nazionale. Nel contempo essi mancano di mezzi adeguati allo scopo di impedire attività di disboscamento non autorizzate.
Una parte significativa del legname frutto del forsennato disboscamento, è ottenuto da attività illegali perpetrate con sistematicità. Esse sono possibili grazie alle difficoltà legate ai controlli in un ambiente come la giungla tropicale nonché alla diffusa corruzione dei funzionari indonesiani, sia di alto che di basso grado istituzionale. La mancanza di trasparenza e la compiacenza governativa garantiscono agli investitori grandi concessioni nel Borneo e la contestuale “flessibilità” delle normative ambientali. Diviene così possibile abbattere molti più alberi di quanto stabilito ufficialmente ed esportarli attraverso le frontiere settentrionali con la Malaysia, le quali sono demarcate e presidiate in maniera approssimativa in quanto immerse nella foresta tropicale.
Ne risulta il rapido deterioramento di ecosistemi unici al mondo e la scomparsa di estese aree verdi che in precedenza ospitavano numerose specie animali, popolazioni tribali di origine molto antica ed assorbivano grandi quantità di gas serra.
In seguito al disboscamento il terreno interessato viene solitamente “pulito” dallo strato di terra umida profondo alcuni metri, il quale costituisce il sottobosco originario della foresta tropicale del Borneo. Esso si è formato nel corso di millenni attraverso l’accumulo di materiale vegetale, il quale decomponendosi ha costituito un terreno umido la cui profondità giunge fino a sei metri. Lo scopo della rimozione di questo strato in seguito al disboscamento, è quello di rendere il terreno asciutto ed adatto alla coltivazione industriale di palme da olio. In questo modo viene prodotto un duplice danno. Da un lato viene cancellato in maniera irreversibile l’intero prezioso ecosistema esistente in precedenza. Dall’altro lato si incrementano notevolmente le emissioni di gas serra nell’atmosfera. Infatti si stima che il terreno umido e ricco di batteri della giungla del Borneo assorba più anidride carbonica degli alberi stessi.
L’estensione delle aree concesse ad imprese private per il disboscamento del Kalimatan e l’insediamento di palme da olio è passata da 500.000 ettari negli anni ’90 del ‘900 ad approssimativamente 3,2 milioni ettari attuali: un incremento del 700% in un decennio, che classifica l’Indonesia come la nazione con il più rapido tasso di deforestazione al mondo. Continuando a questo ritmo la totalità delle aree occupate dalla foresta pluviale scompariranno entro 45 anni.
Risulta invece impossibile quantificare i territori sottoposti illegalmente allo stesso processo. Sommando le attività conosciute con quelle illegali e clandestine si stima che vengano eliminati ogni anno circa 2,5 milioni di ettari di foresta: l’equivalente di 300 campi da calcio ogni ora.
Più della metà del territorio indonesiano originariamente coperto dalla giungla tropicale è già andato perduto.
A causa del disboscamento, legale ed illegale, di enormi estensioni di giungla tropicale e della devastazione dei terreni ricchi di batteri, l’Indonesia è ora giunta ad essere il terzo stato al mondo per quantità di gas serra emessi nell’atmosfera (dopo Stati Uniti e Cina). Ciò avviene nonostante l’arcipelago indonesiano comprenda il 10% delle foreste pluviali mondiali e non abbia tanti impianti industriali di grandi dimensioni.
Nella giungla del Kalimatan sopravvivono molteplici specie animali: 2000 tipi di piante, 350 di uccelli e 200 di mammiferi. Non poche di esse sono in pericolo di estinzione, è il caso dell’orango, della tigre, del gibbone del Borneo e dell’elefante pigmeo. Il disboscamento, oltre a eliminare fisicamente la flora, priva gli animali del loro habitat naturale e ne causa inesorabilmente l’estinzione.
Michele Tempera