Ho sempre un problema a definirmi, a dire chi sono, perché ci sono così tante cose… Sono un ingegnere di software. Ho studiato al Technion ad Haifa conseguendo un diploma post-laurea nel 1986 e un secondo nel 1993; oggi continuo a lavorare nell’ambito dello sviluppo di software e sistemi informatici.
Due anni fa, inoltre, con qualche amico, abbiamo fondato un’associazione culturale denominata Al-Moriscos (Al-Mawarka). L’idea è quella di indagare la condizione dei palestinesi che oggi vivono entro i confini della Linea Verde, quindi in Israele, alla luce delle vicende che hanno interessato i Moriscos, ossia gli arabi andalusi perseguitati a partire dal XV secolo in seguito all’Inquisizione.
Il bisogno di trovare un “caso” che ci permettesse di capire meglio la nostra situazione è emerso in particolare all’indomani della morte dei 13 palestinesi uccisi durante una manifestazione nell’ottobre 2000, che noi abbiamo letto come il possibile inizio di azioni volte a espellere gli arabi da Israele, come è avvenuto per gli andalusi 400 anni fa. La Spagna allora iniziò a perseguitare le minoranze dei Moriscos e degli ebrei, da tempo integrate, costringendole a ideare degli espedienti per conservare la propria cultura e le proprie tradizioni.
In particolare gli arabi andalusi, anche dopo la conversione forzata al cristianesimo, continuarono a usare una forma dialettale di spagnolo scritto con caratteri arabi, l’aljamiado, appunto, da cui deriva anche il nome della mia compagnia. Ebbene, la Spagna, dopo averli costretti a un regime molto duro, dopo 150 anni decise comunque di “trasferire” questi arabi fuori dal paese e in dieci-vent’anni fu completata la loro deportazione dalla Spagna verso la Tunisia, l’Algeria, la Francia, il Nord Italia, la Turchia, la Siria.
Ecco, io trovo che il nostro caso sia così simile a quello dei Moriscos perché dopo tanti anni, qui in Israele l’ipotesi del trasferimento è diventata ormai legittima, e oggi anche sul piano diplomatico, sui media, sembra prender corpo l’idea che sia veramente possibile trasferirci altrove, se non tutti, almeno una parte.
Noi evidentemente desideriamo rimanere qui, continuare a vivere in questo paese come palestinesi e come cittadini israeliani. E tuttavia noi oggi siamo esclusi da qualsiasi accordo; di noi non si parla negli accordi di Oslo, né altrove, del resto noi non siamo rifugiati.
Infatti la nostra situazione è radicalmente diversa da quella dei palestinesi di Gaza e del West Bank. Inoltre si pone anche il problema del nostro destino nel caso scoppiasse una nuova guerra tra Israele e i paesi arabi. Noi cerchiamo di essere noi stessi. Ma proprio qui sta il problema. Come definirci, come collocarci, chi siamo?
Così abbiamo deciso di autodefinirci i nuovi Moriscos. Sì, siamo i nuovi Moriscos.
C’è poi questa impresa in start-up. Start-up significa che ti viene concesso un budget per realizzare la tua idea, così da avere un prodotto finale da sottoporre a giudizio, di cui pubblicare i risultati. In pratica si rivolge a imprese che avrebbero bisogno di ingenti finanziamenti per realizzare il proprio prodotto, quindi è una sorta di prova: ti finanziano un progetto pilota per verificare se l’idea è davvero buona e commercialmente valida.
Tutto è cominciato 3-4 anni fa quando una notte mia moglie mi chiese se potevo svilupparle un programma, un software per bambini con problemi di apprendimento. Lei infatti è un’insegnante e si occupa appunto di ragazzini con queste difficoltà. Io le dissi che ci dovevo pensare, che non era così semplice. Dopo due giorni le spiegai che era davvero complicato realizzare un’idea del genere, che ci volevano molti soldi. Ma lei non mi credette, disse che mentivo, che stavo solo cercando un alibi perché non avevo voglia di provarci. Io di nuovo cercai di spiegarle le difficoltà, dicendole che non conosceva i termini del problema, che sviluppare un software che risultasse anche così semplice da poter essere utilizzato da un bambino era molto difficile, che non avevam ...[continua]
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