In Europa in questi anni, in concomitanza con la spinta all’unificazione europea, si è verificato un forte rilancio del regionalismo. Esiste una tradizione regionalista nella storia polacca?
Il regionalismo in Polonia oggi non c’è per diverse ragioni. Il paese è stato completamente distrutto dalla guerra. Sei milioni di morti e circa nove milioni di persone costrette a cambiare casa durante e dopo la guerra; il trasferimento dei confini del paese 300 km più ad ovest, con l’espulsione di tre milioni di tedeschi; una perdita completa dei territori all’Est, etnicamente mescolati, annessi dai sovietici e che ora fanno parte di Stati indipendenti; circa sei milioni di polacchi che sono scappati dall’Unione Sovietica e si sono ritrasferiti in Polonia, soprattutto nei nuovi territori; la distruzione quasi totale dell’intellighenzia e di tutte le istituzioni locali. Insomma la Polonia è uscita dalla guerra come un paese completamente diverso da quello che era stato fino al 1939. Non esistono quindi identità locali, a parte rare regioni sopravvissute come quella dei montanari nei monti Tatra al sud, o degli Kaszubi, nei dintorni di Danzica.
Alcune iniziative interessanti, come quella della Fondazione Pogranicze di Sejny, provano a rifondare delle identità regionali, ma allo scopo di ricercare nel passato distrutto, e fisicamente amputato, elementi per ricreare un’identità territoriale. Lo fanno collegandosi con altri territori di confine, per esempio i Balcani, in particolare nella Bukovina, una regione etnicamente mista in Romania con una forte minoranza polacca. Ma il lavoro si sta rivelando molto più difficile di quanto immaginassero. Un’altra iniziativa interessante è stata avviata nella città di Lublino con quella che aveva cominciato come una galleria d’avanguardia, come teatro sperimentale. Da anni lavorano alla ricostruzione della memoria sul passato ebraico dimenticato dalla città, raccogliendo una documentazione dettagliata della Lublino ebraica, completamente distrutta durante la guerra e sostituita da una grande piazza. Cercano testimoni, cercano fonti. La loro idea è che per ogni indirizzo ebraico a Lublino si arrivi ad avere una documentazione completamente accessibile. Si dovrebbe poter cliccare, in un cd-rom, su un qualsiasi punto della piazza, facendo apparire la fotografia di una casa con i nomi e le biografie di quelli che erano i suoi abitanti. Poi hanno fatto delle azioni simboliche. C’erano in quel quartiere sia sinagoghe che chiese. Allora hanno fatto una lunga catena umana che congiungeva il punto dove esisteva la grande sinagoga con il punto dove si trovava una chiesa. E’ un tenace lavoro di ricostruzione della memoria e di riconoscimento della storia, che si vede all’opera anche in altre località, compresi alcuni territori già tedeschi a Sud.
Il 30 aprile è stata aperta al Palazzo della cultura una mostra sulla “Fine di Yalta”, organizzata da Karta. Il passato fa molto discutere?
L’intento è quello di ricostruire la storia del comunismo in Polonia, soprattutto a beneficio dei giovani, che per loro fortuna non l’hanno conosciuto direttamente. E’ una mostra intenzionalmente polemica, nel senso che gli organizzatori pensano che ci troviamo di fronte a un rifiuto di memoria, con il rischio che si dimentichino le lezioni del passato. In Polonia c’è una volontà collettiva molto forte di “lasciar perdere”. Il passato è passato. La storia del paese ricomincia da zero nel 1989. Da una parte questa è una cosa molto buona, vitale. Io ho militato contro il tentativo di introdurre delle leggi di criminalizzazione degli ex-comunisti, analoghe a quelle del divieto di ricostituzione del fascismo o del nazismo in Italia e Germania nel dopoguerra. Sono convinto che la democrazia non si fonda sulla discriminazione, nemmeno su q ...[continua]
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