Una Polonia così bella...
cosa sta succedendo
Una Città n° 282 / 2022 marzo
Intervista a Konstanty Gebert
Realizzata da Barbara Bertoncin, Bettina Foa
UNA POLONIA COSI' BELLA...
Una Polonia accogliente, generosa, dove non c'è ormai famiglia che non ospiti qualche profugo ucraino; un clima che ricorda i primi mesi di Solidarnosc e però anche le prime avvisaglie di una situazione che, in assenza di politiche adeguate e di uno Stato efficiente, con il passare delle settimane rischia di trasformarsi in una bomba a orologeria; la Bosnia dimenticata e il ritorno della plausibilità della guerra in Europa. Intervista a Konstanty Gebert.
Konstanty Gebert è scrittore e giornalista per il quotidiano polacco “Gazeta Wyborcza”. È stato corrispondente di guerra nei Balcani e advisor del Special Rapporteur sulla situazione dei diritti umani nei territori dell’ex Yugoslavia Tadeusz Mazowiecki. È stato giornalista clandestino di Solidarnosc, partecipa a think tank europei ed è attivo sulle questioni ebraiche.
Dopo i tanti problemi e le tensioni che in questi ultimi anni hanno segnato i rapporti tra l’Unione europea e la Polonia, in queste settimane stiamo conoscendo una Polonia nuova, accogliente… Sappiamo che i problemi non mancano, ma volevamo partire da questa nota positiva. Voi come state vivendo questa situazione?
Era da quarant’anni che non vedevo una Polonia tanto bella! Veramente è un piacere girare per strada: gli sconosciuti si sorridono. C’è un clima sociale che mi ricorda i primi mesi di Solidarnosc. E bisogna dire che ce l’abbiamo fatta, nel senso che, almeno per quanto ne so, non c’è una sola famiglia ucraina che dorma sotto un ponte e solo trecentomila persone hanno trovato ricovero nei centri istituiti dagli enti locali, tutti gli altri sono stati accolti da cittadini ordinari. Nel mio giro non conosco quasi nessuno che non abbia dei profughi ucraini a casa. E il tutto è avvenuto in modo assolutamente spontaneo, l’organizzazione è arrivata dopo.
Erano passati quattro giorni dall’inizio della guerra quando mia figlia e i suoi amici hanno fatto un convoglio e sono partiti alla volta della frontiera, per caricare tutti quelli che riuscivano a entrare nelle macchine e riportarli a Varsavia ospitandoli poi in casa loro o di amici.
Se posso dire una cosa personale, che mi fa immensamente piacere: io ho quattro figli che non sempre vanno d’accordo tra di loro, ebbene in questo momento stanno tutti lavorando nell’aiuto ai profughi, si sostengono, si scambiano informazioni... uno di loro mi ha detto: “Papà, ora capisco. Voi ci avete semplicemente preparati alla guerra!”. In un certo senso è stato l’intero paese a reagire così.
Detto ciò, a un mese dall’inizio della guerra, si iniziano a vedere i problemi, che sono destinati ad aggravarsi con il passare del tempo. In primo luogo c’è da dire che molte delle persone che si sono impegnate a tempo pieno fin dai primi giorni iniziano a essere affaticate, esaurite, non ce la fanno più, perché hanno dato troppo, e ovviamente non si concedono il diritto di fare una pausa: come si fa a smettere di aiutare? Qui servirebbe un appoggio psicologico, ma soprattutto organizzativo, istituzionale. Invece lo stato non c’è. Se una famiglia per qualche motivo non riesce più a farsi carico dei profughi che ha preso sotto il proprio tetto, non esiste una via d’uscita, a parte quella di mandarli in uno dei centri di accoglienza, dove però c’è solo un letto e un tetto. Allora si cercano amici e conoscenti che non abbiano ancora ospitato una famiglia ucraina, per darsi il cambio, ma questo non è un modo di gestire la più grande crisi migratoria d’Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Questa assenza dello stato e l’evidente assenza di strategia, preparazione, non ispirano fiducia.
Lo stato ha anche fatto alcune cose buone. Intanto ha aperto le frontiere. Qui il contrasto con quello che succede invece alla frontiera bielorussa è eclatante: continuano i respingimenti, si ritrovano i corpi dei profughi morti nelle foreste, ci sono queste azioni clandestine di salvataggio... In uno stato civile questa gente verrebbe riconosciuta come eroica invece oggi viene arrestata con l’accusa di traffico di persone. Ci sono ventimila truppe sulla frontiera bielorussa. Parliamo di una regione sotto regime militare, dove ai media e alle organizzazioni non governative è vietato l’accesso, dove la stessa Costituzione è stata sospesa.
Devo dire che l’ultimo sondaggio rivela che il 66% dei polacchi sono dell’idea che tutti i profughi hanno diritto a pari trattamento.
Allo stato attuale è stata varata una legge speciale per i profughi che però si applica soltanto ai cittadini ucraini, in base alla quale questi ultimi hanno diritto di soggiorno in Polonia per tre anni; possono accedere all’istruzione, al mercato del lavoro, all’assistenza sanitaria e possono viaggiare gratis sui mezzi pubblici. Se invece sei un profugo dell’Ucraina, ma non sei cittadino ucraino hai diritto di rimanere in Polonia per quindici giorni, punto. Si stima siano mezzo milione i cittadini di altri paesi, provenienti soprattutto da Africa e da Asia; sono persone che lavoravano o studiavano in Ucraina, oppure che avevano trovato rifugio lì nella speranza di arrivare nell’Unione europea. So che marocchini e indiani sono stati molto ben gestiti dalle loro ambasciate in Polonia, quasi tutti hanno già lasciato il territorio nazionale: a loro serviva soltanto il diritto di entrare e rimanere per un paio di giorni. Ma a uno studente originario della Costa D’Avorio, paese che non ha nemmeno un’ambasciata in Polonia, cosa succede? Dove va? Ecco, queste persone rischiano di rimanere senza alcun aiuto. Fortunatamente man mano che la gente si è resa conto, si è mobilitata e devo dire che non ci sono stati problemi a trovare alloggio anche a queste persone.
Un altro problema grave sono i rom, che vengono discriminati dallo stato, dai servizi e anche dagli altri profughi.
Pesa anche una certa incapacità a capire la portata di quello che sta succedendo. La comunità ebraica ha organizzato tre centri di accoglienza, in alberghi, ostelli, centri estivi, attraverso i quali sono passate varie migliaia di persone. Il nostro rabbino capo è stato intervistato da un giornale haredim, quindi ultraortodosso, e gli ha raccontato di questo impegno, ma quando il giornalista gli ha chiesto: “Quanti di loro erano ebrei?”, il rabbino capo ha risposto: “Non ne ho idea ma so che tutti erano figli di dio”. L’altro ha riattaccato il telefono e due minuti dopo l’ha richiamato non per scusarsi ma per dire che non aveva alcun bisogno di sorbirsi le sue prediche. “Invece pare che ne abbia proprio bisogno”, ha risposto il gran rabbino…
Insomma stanno succedendo anche tanti episodi che restituiscono un po’ di fede in un paese che era molto difficile amare fino a un paio di mesi fa. Però la fiducia non può prendere lo spazio dell’organizzazione e dell’azione collettiva.
La legge speciale per i profughi è comunque molto ben intenzionata (pure l’opposizione l’ha votata, anche se in cambio il governo ha cercato, per l’ennesima volta, di ottenere una immunità retroattiva per gli abusi commessi da pubblici ufficiali durante il periodo della pandemia). Oggi tutti i bambini ucraini hanno diritto all’educazione, però secondo la legge l’istruzione deve essere impartita nella lingua polacca! Ma che senso ha? Tanto più che le loro famiglie non pensano di rimanere in Polonia; sono qui per qualche settimana nella speranza di poter presto tornare a casa. Molte delle donne ucraine arrivate sono professoresse e potrebbero fare lezioni, potrebbero offrire un intero programma in ucraino, o in russo. Invece c’è un no categorico del ministro dell’educazione: siamo in Polonia, si studia in polacco. Davvero non trovo le parole.
Poi c’è l’assistenza sanitaria, che in Polonia funziona così: ogni medico firma un contratto con il fondo nazionale per la salute, che rimborsa i servizi messi a disposizione dei pazienti. Ora, le persone non residenti, che non pagano le tasse, secondo la legge possono essere assistite ma è prevista un’unica visita. Il che significa che se arriva una persona ferita, verrà visitata, ma non si potrà programmare un follow-up, perché il fondo della salute non lo rimborserebbe. Il ministero della salute ha impiegato tre settimane per dare istruzioni al fondo per la salute affinché i profughi fossero coperti come i cittadini polacchi. L’ennesima prova che abbiamo uno stato inadeguato. Però, ripeto, abbiamo una società civile meravigliosa. Io sono così fiero per quello che sta succedendo, così grato per questo piacere di sorridere agli sconosciuti, non so neanche bene come spiegare questa emozione, come esprimere questa gioia... e però vorrei anche uno stato che funziona!
Tanto più che, oltre alla stanchezza dei volontari e alle disfunzionalità che ho citato, c’è il problema enorme dell’inflazione, con i prezzi che stanno letteralmente esplodendo; una situazione presente già prima della guerra, dovuta anche alla decisione di aumentare le spese per la difesa nazionale che hanno comportato una contrazione delle altre voci. Intanto le file dal dottore si allungano, le classi scolastiche si fanno più grandi... Voglio dire che c’è un prezzo da pagare per l’aiuto che stiamo dando e bisognerebbe intervenire tempestivamente.
Però l’Unione europea esita, perché non si fida. D’altra parte, non solo rimane aperta la questione della violazione dello stato di diritto (rispetto all’indipendenza della magistratura), ma soprattutto Bruxelles non si fida che i fondi trasferiti in Polonia vengano usati come dovrebbero. E vista la quantità degli scandali connessi alle spese cosiddette sanitarie durante la pandemia, questa sfiducia è legittima. Se poi si aggiunge che il sistema giuridico, che sarebbe quello deputato a vigilare, è ostaggio dell’esecutivo... Insomma, è chiaro che per ottenere dei fondi la Polonia dovrebbe abbandonare questo progetto di controllo sulla magistratura, cosa che il governo non ha nessuna fretta di fare.
La città di Varsavia ha organizzato un programma per fornire pari accesso ai servizi per tutti i cittadini: anziani, handicappati, polacchi, non polacchi, donne, maschi, Lgbt... Il governatore della provincia di Varsavia ha bloccato tutto denunciando l’iniziativa come pura propaganda Lgbt. Quindi abbiamo un governatore provinciale che blocca un concorso nel quale si parla della uguaglianza di persone Lgbt con le altre. Insomma, siamo in uno stato di delirio totale.
Dicevi del problema di una memoria potenzialmente esplosiva rispetto ai passati rapporti tra Polonia e Ucraina...
Questa è una cosa che mi sta molto a cuore. Una delle tante note liete è che finora non sono riemerse le problematiche relazioni storiche con l’Ucraina. Anche in rete, chi prova a fomentare viene immediatamente bloccato e denunciato come troll di Putin. Il problema però esiste. Durante la Seconda guerra mondiale centoventimila polacchi sono stati massacrati dagli ucraini e circa ventiquattromila ucraini sono stati massacrati da polacchi. È impossibile che questo tema non emerga, soprattutto con il crescere delle tensioni... Già oggi la popolazione di Varsavia è aumentata del 17%. Tristemente, gli ucraini non hanno fatto il necessario lavoro di elaborazione della memoria. Per carità, è comprensibile, avevano altre priorità, non si tratta di un complotto anti-polacco, però la maggioranza di loro ignora o sottovaluta questa memoria.
Considera che una percentuale significativa di famiglie polacche ha perso dei membri in questi massacri, e questo prima o poi emergerà. Per iniziare ad affrontare il problema, servirebbe un programma comune polacco-ucraino, preferibilmente dal basso, animato dalla società civile; certo, con lo Stato che accompagni, ma senza pretendere di parlare a nome del popolo. Anzi, si potrebbe dire che questo sarebbe il momento migliore per affrontare il problema, perché oggi si vede quale è il nemico reale di ambedue i paesi, e come è importante la cooperazione.
Purtroppo invece, da questo punto di vista, nessuno sta facendo niente, e ho molta paura che in un mese, in due mesi, quando l’entusiasmo iniziale calerà e i costi degli aiuti si faranno pesanti, ecco che una propaganda fondata su slogan tipo: “Beh, noi li aiutiamo però loro hanno massacrato i nostri... Stiamo aiutando i nipoti dei boia”. Ecco, questa propaganda potrebbe trovare eco e avere effetti devastanti.
Anche alla luce di queste considerazioni, si è detto che il problema dei profughi ucraini rischia di essere la vera bomba atomica di Putin...
È legittimo immaginarsi che questo fosse l’effetto desiderato. Anche Milosevic pensava che l’espulsione di un milione di albanesi avrebbe impedito ogni azione contro la Serbia, perché tutti sarebbero stati occupati a occuparsi dei profughi. Aveva fatto male i suoi calcoli.
Dal punto di vista di Putin, se lui può permettersi di aspettare un anno, avremo presto un milione e mezzo di ucraini in Polonia, con quasi nessuna prospettiva di ritornare a casa, il che ci metterà di fronte a una scelta radicale: o queste persone ottengono la cittadinanza rapidamente, e la Polonia diventa anche istituzionalmente uno stato multinazionale, con l’ucraino in parlamento, oppure non ottengono la cittadinanza e diventano una popolazione bistrattata e senza diritti politici, e già vittimizzata da un altro Stato. Non potendo vendicarsi sulla Russia, ed essendo discriminati in Polonia, con chi se la prenderanno? Questa non è politica, è geometria. Certo, trovare una maggioranza politica che dica: sì, vogliamo che la Polonia divenga uno stato multinazionale, mah…
Tra la popolazione polacca si avverte il pericolo di un possibile allargamento dell’intervento russo?
La paura c’è. Lo si vede anche da piccole cose: per esempio non si riesce più a prenotare ai poligoni di tiro, perché ci sono file d’attesa infinite. Vista l’opacità della logica russa, la difficoltà di capire i loro obiettivi, non è inimmaginabile che Putin possa considerare di allargare la guerra. E il fatto che io non veda come questo potrebbe essere nel suo interesse non significa che non sia un’opzione perché io non vedo nemmeno come l’invasione contro l’Ucraina fosse nell’interesse russo, eppure Putin l’ha fatto.
In secondo luogo, noi siamo la stazione di transito più importante per gli aiuti all’Ucraina. Lavrov già dieci giorni fa ha dichiarato che ogni trasporto di armi per l’Ucraina sarebbe stato un target legittimo, il che in guerra è naturale, ma ancora più legittimo sarebbe bombardare l’aeroporto dal quale partono questi trasporti terrestri. Quell’aeroporto è in Polonia, nella città di Rzeszow sulla frontiera ucraina.
Infine, le nostre autorità hanno dato prova di un’incredibile logorrea, prima con il pasticcio del trasferimento dei Mig polacchi in Ucraina, in cui gli americani hanno eguagliato la stupidità polacca. Poi c’è stata la missione di Kaczynski con i premier ceco e sloveno a Kiev, un atto di solidarietà molto coraggioso, che gli ucraini hanno accolto con grande favore, salvo che poi Kaczynski, una volta là, ha parlato di una missione Nato di pace in Ucraina. Ma una missione di pace, che è una buonissima idea, si fa quando c’è una pace da mantenere. Prima di allora, una tale missione è una missione militare, con le armi, in cui si spara. Poi sempre Kaczynski ha cercato di spiegare che la sua idea era di mandare dei soldati nei territori dell’Ucraina non occupati, per proteggerli dai russi. E quando arrivano i russi cosa succede? Questi soldati dovrebbero sparare, quindi sarebbe di nuovo guerra. Non solo: visto che i territori non occupati sono soprattutto quelli sulla frontiera con la Polonia, che erano originariamente polacchi, Lavrov, che non è uno stupido, ha subito denunciato il “complotto polacco” per riprendersi i vecchi territori orientali. Escludo che ai nostri governanti, così miopi, sia anche solo balenata quest’idea, ma con la paranoia che circola, una tale propaganda potrebbe funzionare.
Detto tutto questo, la metà della popolazione oggi sostiene l’idea di una presenza armata Nato in Ucraina. La cosa interessante è che più si ci si sposta vero Occidente, più l’appoggio è grande. Il maggiore sostegno a questa idea è nelle provincie sulla frontiera tedesca e sul mar Baltico. Ora, queste mosse poco responsabili dei nostri governanti non influenzeranno la politica della Nato, ma certo in Polonia stanno rafforzando la sensazione che esista un reale pericolo di guerra.
Il gruppo di Visegrad è in crisi. È una notizia positiva?
Il gruppo di Visegrad sarebbe contento di essere in crisi, in realtà è in fallimento: non esiste una politica comune dei quattro stati di Visegrad. La delusione reciproca tra Varsavia e Budapest è immensa. La cosa più divertente è che i nostri governanti ora ci dicono che l’alleanza con Orban è stata tutta colpa di Donald Tusk, il presidente del Partito popolare europeo, di cui Fidez era un membro importante. Quindi la narrazione è che noi siamo stati sempre dei bravi patrioti anti-russi: è stato Tusk, il collaboratore dei russi, dei tedeschi, a metterci a letto con Orban. È più o meno questo il livello di propaganda.
Visegrad di fatto non esiste già più e non mi sembra possa facilmente resuscitare perché i governi non hanno più niente in comune: tra Polonia e Ungheria è guerra aperta. Ma pure tra Polonia e repubblica Ceca la situazione è tesa, anche per via dei problemi di inquinamento della miniera di Turow, che si trova al confine. C’era un’intesa intergovernativa che non è mai stata messa in atto. E poi c’è la Slovacchia, che è ridotta a una specie di piccola colonia ceca, per cui “chi se ne frega”, e i slovacchi sono molto contenti di ripagarci con lo stesso argomento. Per ora è così. Certo per immaginare una nuova Visegard ci vuole molto ottimismo...
Per quanto riguarda Orban, c’è da dire che evidentemente lo scambio che sta offrendo agli ungheresi, cioè niente guerra, niente prezzi alti, niente profughi, alla fine è accettabile. È vergognoso, certo; però ovunque l’elettorato vota i suoi interessi, non le sue dichiarazioni morali, no? Certo il prezzo da pagare è infeudarsi a Putin, ma alla fine gli ungheresi pensano che è Orban che si sta infeudando, mica noi! Poi, nel caso peggiore, Bruxelles ci salverà. Temo che questo tipo di argomentazioni siano molto più convincenti di altre...
In Polonia sono arrivati anche russi dissidenti. Dicevi che la loro situazione è quasi tragica...
Ne abbiamo aiutati alcuni a uscire dalla Russia; so che fa impressione dirlo, ma sono persone che si trovano in una crisi più profonda di quella degli ucraini. Gli ucraini hanno perso tutto, ma sanno che la loro causa è giusta. I russi hanno anche loro perso tutto: chi si è rifugiato in Polonia non ritornerà in Russia perché anche se la sua casa esiste ancora rischia di ritrovarsi in galera, e però la loro causa è odiosa e il fatto che la condannino non cambia niente. Non pochi oggi fanno volontariato per aiutare gli ucraini. D’altra parte, se non aiuti gli ucraini, come fai a guardarti allo specchio? Parlo di persone di mia conoscenza. Persone che sono partite assumendosi rischi importanti dopo che per anni avevano fatto tutto quello che si poteva, le manifestazioni, le proteste, anche la galera… Ecco, oggi in Polonia si ritrovano in situazioni psicologicamente impossibili, perché, ad esempio, gli ucraini si accorgono che sono russi-russi, e non russi di Ucraina; la differenza di accento che i polacchi non sanno rilevare, gli ucraini la percepiscono subito. E allora accetterai una minestra preparata da una signora russa? Non solo, in qualche caso gli ucraini, davanti a un russo, hanno finalmente la possibilità di dire cosa pensano di loro, di sfogarsi, anche se questi russi fuggiti sono evidentemente le ultime persone che avrebbero bisogno di sentirselo dire. Davvero, fatico a immaginare una condizione esistenziale più difficile...
Il resto della popolazione russa è la prova di quanto può essere efficace un totalitarismo moderno.
Questo è anche un monito: se non difendiamo le nostre democrazie in Polonia, Ungheria, Slovenia, i nostri paesi rischiano, nel giro di dieci, quindi anni di essere assimilati alla Russia di Putin. È un pericolo reale, non immaginario e nessuno sa quale sarebbe la strada di ritorno.
Già oggi la situazione in Russia è intricata. Se qualcuno assassina Putin, o Putin muore di infarto, assumendo che abbia un cuore, il giorno dopo cosa succede? Quali sono i meccanismi democratici che potrebbero portare al potere un reale rappresentante della società russa? Non vedo un ingranaggio interno in grado di riabilitare la società russa. Rifiuto assolutamente di accettare l’idea che “i russi sono così”. Perché i russi che io conosco non sono così. E conosco invece polacchi che sono così. Quindi quella mi sembra proprio una sciocchezza.
Detto questo, continuo a non vedere come si possa uscire da questa trappola. Cioè, posso immaginare che si verifichi una specie di crisi generale quando aumenterà il numero dei cadaveri di soldati russi che torneranno in madrepatria.
Però non dobbiamo dimenticare che in Serbia si sono liberati di Milosevic quando si sono resi conto che stava perdendo la guerra, e però questo non ha portato alla creazione di una società liberale e democratica, e in un certo senso la Serbia era meno coinvolta della Russia. La Serbia appoggiava gli assassini, la Russia è la mandante degli assassini.
Dicevi che anche l’Unione europea ti ha sorpreso positivamente...
Sì, l’Unione europea mi ha sorpreso così come mi ha sorpreso la Polonia. La Russia invece non mi ha sorpreso per niente, cioè per me era evidente che ci sarebbe stata una guerra, perché non si mobilitano centocinquantamila soldati in pieno inverno per impressionare il “New York Times”. Uno sforzo tale poteva essere intrapreso per un solo scopo: fare una guerra. E conosciamo il modo russo di fare la guerra: l’abbiamo visto in Cecenia, in Georgia, in Siria… quindi quel modo di fare guerra non mi ha sorpreso.
Invece, come dicevo, mi ha sorpreso immensamente la Polonia, e mi hanno sorpreso molto l’Unione europea e l’Occidente in generale per la capacità di intraprendere un’azione unitaria e anche abbastanza coraggiosa. Davvero non pensavo che ci saremmo mostrati all’altezza della situazione, con una miscela intelligente di sfida, ma anche di azione ragionevole. Per esempio, io appoggio la decisione della Nato di non fare la no-fly zone nel cielo ucraino: il rischio è troppo grande, e questo è l’aspetto ragionevole. Ma la decisione dei tedeschi di diventare il terzo paese in spese per difesa del mondo, dopo tutti questi anni di pacifismo, mi ha colpito molto. Tra l’altro, sarà un’Europa completamente diversa, con i tedeschi non più pacifisti e i polacchi non più monoetnici. L’ultima volta che è capitato, negli anni Trenta, non è andata a finire bene…
Bisognerà prestare attenzione anche a ciò che succede nei Balcani... ci sono così tanti fattori in gioco. Credo che in queste settimane nei Balcani stiano studiando la lezione del Nagorno-Karabakh, questa piccola azione militare compiuta dall’Azerbaijan contro i territori protetti dai russi. Ecco, loro hanno dimostrato che si può andare contro la volontà politica di una grande potenza senza pagarne il prezzo se la grande potenza è occupata altrove. Ovviamente loro non intendono certo fare la guerra alla Russia, ma quando si ritornerà a negoziare, gli azeri diranno: “Avete visto? Possiamo fare delle cose. Possiamo anche non farle, se otteniamo gli stessi risultati alla tavola del negoziato...”. Però attenzione perché la Russia non è l’unica potenza occupata altrove. Se prima, ad esempio, per Dodik l’idea che Putin sarebbe corso in suo aiuto era poca cosa comparata alla possibilità di una reazione americana massacrante, e sarebbe stata sufficiente a convincerlo a rimanere su livelli di pura retorica, beh, oggi, con quello che sta succedendo, una secessione della Repubblica Serba di Bosnia sarebbe certo rischiosa, ma non è più suicidaria. È diventata una opzione da considerare. E se si fa un accordo con la Croazia, se si appoggia la creazione di uno stato croato in Bosnia… ecco che di questo già si può parlare.
La guerra è tornata come un argomento legittimo di relazioni politiche. Ancora l’altro ieri uno stato che avesse minacciato di fare guerra a un altro sarebbe stato già perdente. Oggi dipende dalle alleanze dell’uno e dell’altro. È un mondo che noi pensavamo fosse sparito dopo il ’45. ...
A metà degli anni Novanta, davanti all’aggressione serba, abbiamo lasciato la Bosnia da sola. In queste settimane si è parlato della “prima volta” dopo la Seconda guerra mondiale. Ecco, della Bosnia non si ricorda più nessuno…
È vero ed è una cosa indecente. Detto questo, l’amara verità è che l’Europa poteva permettersi di abbandonare la Bosnia. Era una vergogna morale, c’era un prezzo politico da pagare, ma visto che eravamo occupati altrove, il prezzo politico era accettabile e il resto dei costi lo pagava la Bosnia stessa. Con l’Ucraina non abbiamo questa possibilità. È questo che ci ha portato ad agire con l’unità e la forza. È la paura. La paura è che questa volta si tratti di affari nostri e questa percezione è qualcosa che mobilita a meraviglia!
(a cura di Barbara Bertoncin e Bettina Foa)
Dopo i tanti problemi e le tensioni che in questi ultimi anni hanno segnato i rapporti tra l’Unione europea e la Polonia, in queste settimane stiamo conoscendo una Polonia nuova, accogliente… Sappiamo che i problemi non mancano, ma volevamo partire da questa nota positiva. Voi come state vivendo questa situazione?
Era da quarant’anni che non vedevo una Polonia tanto bella! Veramente è un piacere girare per strada: gli sconosciuti si sorridono. C’è un clima sociale che mi ricorda i primi mesi di Solidarnosc. E bisogna dire che ce l’abbiamo fatta, nel senso che, almeno per quanto ne so, non c’è una sola famiglia ucraina che dorma sotto un ponte e solo trecentomila persone hanno trovato ricovero nei centri istituiti dagli enti locali, tutti gli altri sono stati accolti da cittadini ordinari. Nel mio giro non conosco quasi nessuno che non abbia dei profughi ucraini a casa. E il tutto è avvenuto in modo assolutamente spontaneo, l’organizzazione è arrivata dopo.
Erano passati quattro giorni dall’inizio della guerra quando mia figlia e i suoi amici hanno fatto un convoglio e sono partiti alla volta della frontiera, per caricare tutti quelli che riuscivano a entrare nelle macchine e riportarli a Varsavia ospitandoli poi in casa loro o di amici.
Se posso dire una cosa personale, che mi fa immensamente piacere: io ho quattro figli che non sempre vanno d’accordo tra di loro, ebbene in questo momento stanno tutti lavorando nell’aiuto ai profughi, si sostengono, si scambiano informazioni... uno di loro mi ha detto: “Papà, ora capisco. Voi ci avete semplicemente preparati alla guerra!”. In un certo senso è stato l’intero paese a reagire così.
Detto ciò, a un mese dall’inizio della guerra, si iniziano a vedere i problemi, che sono destinati ad aggravarsi con il passare del tempo. In primo luogo c’è da dire che molte delle persone che si sono impegnate a tempo pieno fin dai primi giorni iniziano a essere affaticate, esaurite, non ce la fanno più, perché hanno dato troppo, e ovviamente non si concedono il diritto di fare una pausa: come si fa a smettere di aiutare? Qui servirebbe un appoggio psicologico, ma soprattutto organizzativo, istituzionale. Invece lo stato non c’è. Se una famiglia per qualche motivo non riesce più a farsi carico dei profughi che ha preso sotto il proprio tetto, non esiste una via d’uscita, a parte quella di mandarli in uno dei centri di accoglienza, dove però c’è solo un letto e un tetto. Allora si cercano amici e conoscenti che non abbiano ancora ospitato una famiglia ucraina, per darsi il cambio, ma questo non è un modo di gestire la più grande crisi migratoria d’Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Questa assenza dello stato e l’evidente assenza di strategia, preparazione, non ispirano fiducia.
Lo stato ha anche fatto alcune cose buone. Intanto ha aperto le frontiere. Qui il contrasto con quello che succede invece alla frontiera bielorussa è eclatante: continuano i respingimenti, si ritrovano i corpi dei profughi morti nelle foreste, ci sono queste azioni clandestine di salvataggio... In uno stato civile questa gente verrebbe riconosciuta come eroica invece oggi viene arrestata con l’accusa di traffico di persone. Ci sono ventimila truppe sulla frontiera bielorussa. Parliamo di una regione sotto regime militare, dove ai media e alle organizzazioni non governative è vietato l’accesso, dove la stessa Costituzione è stata sospesa.
Devo dire che l’ultimo sondaggio rivela che il 66% dei polacchi sono dell’idea che tutti i profughi hanno diritto a pari trattamento.
Allo stato attuale è stata varata una legge speciale per i profughi che però si applica soltanto ai cittadini ucraini, in base alla quale questi ultimi hanno diritto di soggiorno in Polonia per tre anni; possono accedere all’istruzione, al mercato del lavoro, all’assistenza sanitaria e possono viaggiare gratis sui mezzi pubblici. Se invece sei un profugo dell’Ucraina, ma non sei cittadino ucraino hai diritto di rimanere in Polonia per quindici giorni, punto. Si stima siano mezzo milione i cittadini di altri paesi, provenienti soprattutto da Africa e da Asia; sono persone che lavoravano o studiavano in Ucraina, oppure che avevano trovato rifugio lì nella speranza di arrivare nell’Unione europea. So che marocchini e indiani sono stati molto ben gestiti dalle loro ambasciate in Polonia, quasi tutti hanno già lasciato il territorio nazionale: a loro serviva soltanto il diritto di entrare e rimanere per un paio di giorni. Ma a uno studente originario della Costa D’Avorio, paese che non ha nemmeno un’ambasciata in Polonia, cosa succede? Dove va? Ecco, queste persone rischiano di rimanere senza alcun aiuto. Fortunatamente man mano che la gente si è resa conto, si è mobilitata e devo dire che non ci sono stati problemi a trovare alloggio anche a queste persone.
Un altro problema grave sono i rom, che vengono discriminati dallo stato, dai servizi e anche dagli altri profughi.
Pesa anche una certa incapacità a capire la portata di quello che sta succedendo. La comunità ebraica ha organizzato tre centri di accoglienza, in alberghi, ostelli, centri estivi, attraverso i quali sono passate varie migliaia di persone. Il nostro rabbino capo è stato intervistato da un giornale haredim, quindi ultraortodosso, e gli ha raccontato di questo impegno, ma quando il giornalista gli ha chiesto: “Quanti di loro erano ebrei?”, il rabbino capo ha risposto: “Non ne ho idea ma so che tutti erano figli di dio”. L’altro ha riattaccato il telefono e due minuti dopo l’ha richiamato non per scusarsi ma per dire che non aveva alcun bisogno di sorbirsi le sue prediche. “Invece pare che ne abbia proprio bisogno”, ha risposto il gran rabbino…
Insomma stanno succedendo anche tanti episodi che restituiscono un po’ di fede in un paese che era molto difficile amare fino a un paio di mesi fa. Però la fiducia non può prendere lo spazio dell’organizzazione e dell’azione collettiva.
La legge speciale per i profughi è comunque molto ben intenzionata (pure l’opposizione l’ha votata, anche se in cambio il governo ha cercato, per l’ennesima volta, di ottenere una immunità retroattiva per gli abusi commessi da pubblici ufficiali durante il periodo della pandemia). Oggi tutti i bambini ucraini hanno diritto all’educazione, però secondo la legge l’istruzione deve essere impartita nella lingua polacca! Ma che senso ha? Tanto più che le loro famiglie non pensano di rimanere in Polonia; sono qui per qualche settimana nella speranza di poter presto tornare a casa. Molte delle donne ucraine arrivate sono professoresse e potrebbero fare lezioni, potrebbero offrire un intero programma in ucraino, o in russo. Invece c’è un no categorico del ministro dell’educazione: siamo in Polonia, si studia in polacco. Davvero non trovo le parole.
Poi c’è l’assistenza sanitaria, che in Polonia funziona così: ogni medico firma un contratto con il fondo nazionale per la salute, che rimborsa i servizi messi a disposizione dei pazienti. Ora, le persone non residenti, che non pagano le tasse, secondo la legge possono essere assistite ma è prevista un’unica visita. Il che significa che se arriva una persona ferita, verrà visitata, ma non si potrà programmare un follow-up, perché il fondo della salute non lo rimborserebbe. Il ministero della salute ha impiegato tre settimane per dare istruzioni al fondo per la salute affinché i profughi fossero coperti come i cittadini polacchi. L’ennesima prova che abbiamo uno stato inadeguato. Però, ripeto, abbiamo una società civile meravigliosa. Io sono così fiero per quello che sta succedendo, così grato per questo piacere di sorridere agli sconosciuti, non so neanche bene come spiegare questa emozione, come esprimere questa gioia... e però vorrei anche uno stato che funziona!
Tanto più che, oltre alla stanchezza dei volontari e alle disfunzionalità che ho citato, c’è il problema enorme dell’inflazione, con i prezzi che stanno letteralmente esplodendo; una situazione presente già prima della guerra, dovuta anche alla decisione di aumentare le spese per la difesa nazionale che hanno comportato una contrazione delle altre voci. Intanto le file dal dottore si allungano, le classi scolastiche si fanno più grandi... Voglio dire che c’è un prezzo da pagare per l’aiuto che stiamo dando e bisognerebbe intervenire tempestivamente.
Però l’Unione europea esita, perché non si fida. D’altra parte, non solo rimane aperta la questione della violazione dello stato di diritto (rispetto all’indipendenza della magistratura), ma soprattutto Bruxelles non si fida che i fondi trasferiti in Polonia vengano usati come dovrebbero. E vista la quantità degli scandali connessi alle spese cosiddette sanitarie durante la pandemia, questa sfiducia è legittima. Se poi si aggiunge che il sistema giuridico, che sarebbe quello deputato a vigilare, è ostaggio dell’esecutivo... Insomma, è chiaro che per ottenere dei fondi la Polonia dovrebbe abbandonare questo progetto di controllo sulla magistratura, cosa che il governo non ha nessuna fretta di fare.
La città di Varsavia ha organizzato un programma per fornire pari accesso ai servizi per tutti i cittadini: anziani, handicappati, polacchi, non polacchi, donne, maschi, Lgbt... Il governatore della provincia di Varsavia ha bloccato tutto denunciando l’iniziativa come pura propaganda Lgbt. Quindi abbiamo un governatore provinciale che blocca un concorso nel quale si parla della uguaglianza di persone Lgbt con le altre. Insomma, siamo in uno stato di delirio totale.
Dicevi del problema di una memoria potenzialmente esplosiva rispetto ai passati rapporti tra Polonia e Ucraina...
Questa è una cosa che mi sta molto a cuore. Una delle tante note liete è che finora non sono riemerse le problematiche relazioni storiche con l’Ucraina. Anche in rete, chi prova a fomentare viene immediatamente bloccato e denunciato come troll di Putin. Il problema però esiste. Durante la Seconda guerra mondiale centoventimila polacchi sono stati massacrati dagli ucraini e circa ventiquattromila ucraini sono stati massacrati da polacchi. È impossibile che questo tema non emerga, soprattutto con il crescere delle tensioni... Già oggi la popolazione di Varsavia è aumentata del 17%. Tristemente, gli ucraini non hanno fatto il necessario lavoro di elaborazione della memoria. Per carità, è comprensibile, avevano altre priorità, non si tratta di un complotto anti-polacco, però la maggioranza di loro ignora o sottovaluta questa memoria.
Considera che una percentuale significativa di famiglie polacche ha perso dei membri in questi massacri, e questo prima o poi emergerà. Per iniziare ad affrontare il problema, servirebbe un programma comune polacco-ucraino, preferibilmente dal basso, animato dalla società civile; certo, con lo Stato che accompagni, ma senza pretendere di parlare a nome del popolo. Anzi, si potrebbe dire che questo sarebbe il momento migliore per affrontare il problema, perché oggi si vede quale è il nemico reale di ambedue i paesi, e come è importante la cooperazione.
Purtroppo invece, da questo punto di vista, nessuno sta facendo niente, e ho molta paura che in un mese, in due mesi, quando l’entusiasmo iniziale calerà e i costi degli aiuti si faranno pesanti, ecco che una propaganda fondata su slogan tipo: “Beh, noi li aiutiamo però loro hanno massacrato i nostri... Stiamo aiutando i nipoti dei boia”. Ecco, questa propaganda potrebbe trovare eco e avere effetti devastanti.
Anche alla luce di queste considerazioni, si è detto che il problema dei profughi ucraini rischia di essere la vera bomba atomica di Putin...
È legittimo immaginarsi che questo fosse l’effetto desiderato. Anche Milosevic pensava che l’espulsione di un milione di albanesi avrebbe impedito ogni azione contro la Serbia, perché tutti sarebbero stati occupati a occuparsi dei profughi. Aveva fatto male i suoi calcoli.
Dal punto di vista di Putin, se lui può permettersi di aspettare un anno, avremo presto un milione e mezzo di ucraini in Polonia, con quasi nessuna prospettiva di ritornare a casa, il che ci metterà di fronte a una scelta radicale: o queste persone ottengono la cittadinanza rapidamente, e la Polonia diventa anche istituzionalmente uno stato multinazionale, con l’ucraino in parlamento, oppure non ottengono la cittadinanza e diventano una popolazione bistrattata e senza diritti politici, e già vittimizzata da un altro Stato. Non potendo vendicarsi sulla Russia, ed essendo discriminati in Polonia, con chi se la prenderanno? Questa non è politica, è geometria. Certo, trovare una maggioranza politica che dica: sì, vogliamo che la Polonia divenga uno stato multinazionale, mah…
Tra la popolazione polacca si avverte il pericolo di un possibile allargamento dell’intervento russo?
La paura c’è. Lo si vede anche da piccole cose: per esempio non si riesce più a prenotare ai poligoni di tiro, perché ci sono file d’attesa infinite. Vista l’opacità della logica russa, la difficoltà di capire i loro obiettivi, non è inimmaginabile che Putin possa considerare di allargare la guerra. E il fatto che io non veda come questo potrebbe essere nel suo interesse non significa che non sia un’opzione perché io non vedo nemmeno come l’invasione contro l’Ucraina fosse nell’interesse russo, eppure Putin l’ha fatto.
In secondo luogo, noi siamo la stazione di transito più importante per gli aiuti all’Ucraina. Lavrov già dieci giorni fa ha dichiarato che ogni trasporto di armi per l’Ucraina sarebbe stato un target legittimo, il che in guerra è naturale, ma ancora più legittimo sarebbe bombardare l’aeroporto dal quale partono questi trasporti terrestri. Quell’aeroporto è in Polonia, nella città di Rzeszow sulla frontiera ucraina.
Infine, le nostre autorità hanno dato prova di un’incredibile logorrea, prima con il pasticcio del trasferimento dei Mig polacchi in Ucraina, in cui gli americani hanno eguagliato la stupidità polacca. Poi c’è stata la missione di Kaczynski con i premier ceco e sloveno a Kiev, un atto di solidarietà molto coraggioso, che gli ucraini hanno accolto con grande favore, salvo che poi Kaczynski, una volta là, ha parlato di una missione Nato di pace in Ucraina. Ma una missione di pace, che è una buonissima idea, si fa quando c’è una pace da mantenere. Prima di allora, una tale missione è una missione militare, con le armi, in cui si spara. Poi sempre Kaczynski ha cercato di spiegare che la sua idea era di mandare dei soldati nei territori dell’Ucraina non occupati, per proteggerli dai russi. E quando arrivano i russi cosa succede? Questi soldati dovrebbero sparare, quindi sarebbe di nuovo guerra. Non solo: visto che i territori non occupati sono soprattutto quelli sulla frontiera con la Polonia, che erano originariamente polacchi, Lavrov, che non è uno stupido, ha subito denunciato il “complotto polacco” per riprendersi i vecchi territori orientali. Escludo che ai nostri governanti, così miopi, sia anche solo balenata quest’idea, ma con la paranoia che circola, una tale propaganda potrebbe funzionare.
Detto tutto questo, la metà della popolazione oggi sostiene l’idea di una presenza armata Nato in Ucraina. La cosa interessante è che più si ci si sposta vero Occidente, più l’appoggio è grande. Il maggiore sostegno a questa idea è nelle provincie sulla frontiera tedesca e sul mar Baltico. Ora, queste mosse poco responsabili dei nostri governanti non influenzeranno la politica della Nato, ma certo in Polonia stanno rafforzando la sensazione che esista un reale pericolo di guerra.
Il gruppo di Visegrad è in crisi. È una notizia positiva?
Il gruppo di Visegrad sarebbe contento di essere in crisi, in realtà è in fallimento: non esiste una politica comune dei quattro stati di Visegrad. La delusione reciproca tra Varsavia e Budapest è immensa. La cosa più divertente è che i nostri governanti ora ci dicono che l’alleanza con Orban è stata tutta colpa di Donald Tusk, il presidente del Partito popolare europeo, di cui Fidez era un membro importante. Quindi la narrazione è che noi siamo stati sempre dei bravi patrioti anti-russi: è stato Tusk, il collaboratore dei russi, dei tedeschi, a metterci a letto con Orban. È più o meno questo il livello di propaganda.
Visegrad di fatto non esiste già più e non mi sembra possa facilmente resuscitare perché i governi non hanno più niente in comune: tra Polonia e Ungheria è guerra aperta. Ma pure tra Polonia e repubblica Ceca la situazione è tesa, anche per via dei problemi di inquinamento della miniera di Turow, che si trova al confine. C’era un’intesa intergovernativa che non è mai stata messa in atto. E poi c’è la Slovacchia, che è ridotta a una specie di piccola colonia ceca, per cui “chi se ne frega”, e i slovacchi sono molto contenti di ripagarci con lo stesso argomento. Per ora è così. Certo per immaginare una nuova Visegard ci vuole molto ottimismo...
Per quanto riguarda Orban, c’è da dire che evidentemente lo scambio che sta offrendo agli ungheresi, cioè niente guerra, niente prezzi alti, niente profughi, alla fine è accettabile. È vergognoso, certo; però ovunque l’elettorato vota i suoi interessi, non le sue dichiarazioni morali, no? Certo il prezzo da pagare è infeudarsi a Putin, ma alla fine gli ungheresi pensano che è Orban che si sta infeudando, mica noi! Poi, nel caso peggiore, Bruxelles ci salverà. Temo che questo tipo di argomentazioni siano molto più convincenti di altre...
In Polonia sono arrivati anche russi dissidenti. Dicevi che la loro situazione è quasi tragica...
Ne abbiamo aiutati alcuni a uscire dalla Russia; so che fa impressione dirlo, ma sono persone che si trovano in una crisi più profonda di quella degli ucraini. Gli ucraini hanno perso tutto, ma sanno che la loro causa è giusta. I russi hanno anche loro perso tutto: chi si è rifugiato in Polonia non ritornerà in Russia perché anche se la sua casa esiste ancora rischia di ritrovarsi in galera, e però la loro causa è odiosa e il fatto che la condannino non cambia niente. Non pochi oggi fanno volontariato per aiutare gli ucraini. D’altra parte, se non aiuti gli ucraini, come fai a guardarti allo specchio? Parlo di persone di mia conoscenza. Persone che sono partite assumendosi rischi importanti dopo che per anni avevano fatto tutto quello che si poteva, le manifestazioni, le proteste, anche la galera… Ecco, oggi in Polonia si ritrovano in situazioni psicologicamente impossibili, perché, ad esempio, gli ucraini si accorgono che sono russi-russi, e non russi di Ucraina; la differenza di accento che i polacchi non sanno rilevare, gli ucraini la percepiscono subito. E allora accetterai una minestra preparata da una signora russa? Non solo, in qualche caso gli ucraini, davanti a un russo, hanno finalmente la possibilità di dire cosa pensano di loro, di sfogarsi, anche se questi russi fuggiti sono evidentemente le ultime persone che avrebbero bisogno di sentirselo dire. Davvero, fatico a immaginare una condizione esistenziale più difficile...
Il resto della popolazione russa è la prova di quanto può essere efficace un totalitarismo moderno.
Questo è anche un monito: se non difendiamo le nostre democrazie in Polonia, Ungheria, Slovenia, i nostri paesi rischiano, nel giro di dieci, quindi anni di essere assimilati alla Russia di Putin. È un pericolo reale, non immaginario e nessuno sa quale sarebbe la strada di ritorno.
Già oggi la situazione in Russia è intricata. Se qualcuno assassina Putin, o Putin muore di infarto, assumendo che abbia un cuore, il giorno dopo cosa succede? Quali sono i meccanismi democratici che potrebbero portare al potere un reale rappresentante della società russa? Non vedo un ingranaggio interno in grado di riabilitare la società russa. Rifiuto assolutamente di accettare l’idea che “i russi sono così”. Perché i russi che io conosco non sono così. E conosco invece polacchi che sono così. Quindi quella mi sembra proprio una sciocchezza.
Detto questo, continuo a non vedere come si possa uscire da questa trappola. Cioè, posso immaginare che si verifichi una specie di crisi generale quando aumenterà il numero dei cadaveri di soldati russi che torneranno in madrepatria.
Però non dobbiamo dimenticare che in Serbia si sono liberati di Milosevic quando si sono resi conto che stava perdendo la guerra, e però questo non ha portato alla creazione di una società liberale e democratica, e in un certo senso la Serbia era meno coinvolta della Russia. La Serbia appoggiava gli assassini, la Russia è la mandante degli assassini.
Dicevi che anche l’Unione europea ti ha sorpreso positivamente...
Sì, l’Unione europea mi ha sorpreso così come mi ha sorpreso la Polonia. La Russia invece non mi ha sorpreso per niente, cioè per me era evidente che ci sarebbe stata una guerra, perché non si mobilitano centocinquantamila soldati in pieno inverno per impressionare il “New York Times”. Uno sforzo tale poteva essere intrapreso per un solo scopo: fare una guerra. E conosciamo il modo russo di fare la guerra: l’abbiamo visto in Cecenia, in Georgia, in Siria… quindi quel modo di fare guerra non mi ha sorpreso.
Invece, come dicevo, mi ha sorpreso immensamente la Polonia, e mi hanno sorpreso molto l’Unione europea e l’Occidente in generale per la capacità di intraprendere un’azione unitaria e anche abbastanza coraggiosa. Davvero non pensavo che ci saremmo mostrati all’altezza della situazione, con una miscela intelligente di sfida, ma anche di azione ragionevole. Per esempio, io appoggio la decisione della Nato di non fare la no-fly zone nel cielo ucraino: il rischio è troppo grande, e questo è l’aspetto ragionevole. Ma la decisione dei tedeschi di diventare il terzo paese in spese per difesa del mondo, dopo tutti questi anni di pacifismo, mi ha colpito molto. Tra l’altro, sarà un’Europa completamente diversa, con i tedeschi non più pacifisti e i polacchi non più monoetnici. L’ultima volta che è capitato, negli anni Trenta, non è andata a finire bene…
Bisognerà prestare attenzione anche a ciò che succede nei Balcani... ci sono così tanti fattori in gioco. Credo che in queste settimane nei Balcani stiano studiando la lezione del Nagorno-Karabakh, questa piccola azione militare compiuta dall’Azerbaijan contro i territori protetti dai russi. Ecco, loro hanno dimostrato che si può andare contro la volontà politica di una grande potenza senza pagarne il prezzo se la grande potenza è occupata altrove. Ovviamente loro non intendono certo fare la guerra alla Russia, ma quando si ritornerà a negoziare, gli azeri diranno: “Avete visto? Possiamo fare delle cose. Possiamo anche non farle, se otteniamo gli stessi risultati alla tavola del negoziato...”. Però attenzione perché la Russia non è l’unica potenza occupata altrove. Se prima, ad esempio, per Dodik l’idea che Putin sarebbe corso in suo aiuto era poca cosa comparata alla possibilità di una reazione americana massacrante, e sarebbe stata sufficiente a convincerlo a rimanere su livelli di pura retorica, beh, oggi, con quello che sta succedendo, una secessione della Repubblica Serba di Bosnia sarebbe certo rischiosa, ma non è più suicidaria. È diventata una opzione da considerare. E se si fa un accordo con la Croazia, se si appoggia la creazione di uno stato croato in Bosnia… ecco che di questo già si può parlare.
La guerra è tornata come un argomento legittimo di relazioni politiche. Ancora l’altro ieri uno stato che avesse minacciato di fare guerra a un altro sarebbe stato già perdente. Oggi dipende dalle alleanze dell’uno e dell’altro. È un mondo che noi pensavamo fosse sparito dopo il ’45. ...
A metà degli anni Novanta, davanti all’aggressione serba, abbiamo lasciato la Bosnia da sola. In queste settimane si è parlato della “prima volta” dopo la Seconda guerra mondiale. Ecco, della Bosnia non si ricorda più nessuno…
È vero ed è una cosa indecente. Detto questo, l’amara verità è che l’Europa poteva permettersi di abbandonare la Bosnia. Era una vergogna morale, c’era un prezzo politico da pagare, ma visto che eravamo occupati altrove, il prezzo politico era accettabile e il resto dei costi lo pagava la Bosnia stessa. Con l’Ucraina non abbiamo questa possibilità. È questo che ci ha portato ad agire con l’unità e la forza. È la paura. La paura è che questa volta si tratti di affari nostri e questa percezione è qualcosa che mobilita a meraviglia!
(a cura di Barbara Bertoncin e Bettina Foa)
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