Non è difficile comprendere come il percorso biografico di un intellettuale impegnato conservi sempre tracce importanti della storia di una società. L’azione e la riflessione di Simone Weil (nata nel 1909 e morta nel 1943, a soli 34 anni) appartengono prevalentemente alla Francia degli anni Trenta e si presentano come una risposta alle questioni del suo tempo: la condizione operaia, la possibilità di una trasformazione rivoluzionaria della società, il pacifismo, l’opposizione ai totalitarismi...
Certamente Simone Weil è un’autrice che amò riflettere sui problemi del proprio tempo. Non lo fece con l’intento di creare un’opera, di edificare un’opera, ma coniugando sempre pensiero e azione, vita e riflessione sulla vita. Questo nesso è fondamentale per capirla. Non si preoccupava dei problemi operai, della condizione operaia, del totalitarismo a livello teorico: la sua preoccupazione nasceva come riflessione su un impegno concreto. Non c’era tra pensiero e azione una gerarchia, ma -se potessimo dirlo in una parola- c’era consustanzialità, nel senso che era un pensiero impegnato e un impegno riflessivo. Anzi, lei arrivò a dire che, prima dell’azione, il pensiero è il momento eroico, la scelta intellettuale. Simone Weil ebbe sempre un grande rispetto e una premura nella salvaguardia dell’intelligenza, dell’indipendenza dell’intelligenza.
Dopo avere tenuto, per la maggior parte della sua vita, un atteggiamento di riserva nei confronti dell’esistenza di Dio -convinta che i problemi che si pongono davanti agli uomini in questo mondo non possono essere risolti semplicemente accettando o non accettando Dio- negli ultimi anni Simone Weil visse un’esperienza mistica che irruppe nella sua vita in modo inaspettato. Ma anche quando parlò del soprannaturale, non lo spiegò in se stesso, bensì nei suoi effetti. Un uomo vive nel soprannaturale -lei lo immaginava nel fuoco dell’amore di Dio- quando le sue parole e le sue azioni vanno contro la logica corrente, contro la logica del mondo.
Pur essendosi avvicinata al cristianesimo, e anche al cattolicesimo, Simone Weil non acconsentì a chiedere il battesimo, a entrare in modo ufficiale nella Chiesa. Preferì invece rimanere sulla soglia, soffrendo di questa condizione in qualche misura ambigua. Era convinta, infatti, che un certo atteggiamento che aveva qualificato la storia della Chiesa non salvaguardasse l’indipendenza dell’intelligenza. L’intelligenza per lei era fondamentale. Secondo Simone Weil non c’è eroismo nella vita: se è possibile parlare di eroismo è rispetto al pensiero. E’ quello il momento decisivo, il resto è una conseguenza. Una volta che con l’intelligenza ho cercato di conoscere il problema, poi mi impegno, e proprio nell’impegno posso trovare altri elementi che mi permettono un’ulteriore conoscenza “da dentro”, dall’interno.
Prendiamo in considerazione il tema che sta al cuore di tutta la sua riflessione, cioè il tema del lavoro. In fondo, se volessimo definire il pensiero di Simone Weil, dovremmo dire che è un pensiero sul lavoro, sulla condizione umana che si realizza prevalentemente nel lavoro. Anzi, a questo proposito, c’è uno studio molto bello fatto da Robert Chenavier, presidente dell’Associazione per lo studio del pensiero di Simone Weil, che ha sede a Parigi, e direttore dei Cahiers Simone Weil, rivista trimestrale che si pubblica dal 1974 (generalmente riporta le relazioni dei convegni che si fanno attorno a questa pensatrice). Chenavier ha fatto una tesi di dottorato, pubblicata nel 2001 dalle Editions du Cerf, intitolata Une philosophie du travail, dove ha individuato nel percorso di Simone Weil e nei suoi testi -che come dicevo non furono scritti per edificare un’opera, con intento sistematico, con esprit de méthode, ma per necessità, come fossero appunti a lato della vita- una continuità rappresentata dalla riflessione sul lavoro: la nozione di lavoro, la condizione dell’uomo che lavora, il rapporto che l’uomo stabilisce con la realtà per trasformarla, ecc. Questo interesse è riscontrabile a partire dai primissimi testi risalenti al periodo in cui frequentava la “scuola” del filosofo radicale Emile Chartier, detto Alain, passando poi attraverso l’esperienza in fabbrica (dal dicembre 1934 all’agosto 1935, dopo aver chiesto un congedo dall’insegnamento di filosofia, Simone lavorò come operaia a cottimo), fino all’ul ...[continua]
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